E che dire dell’ultimissimo episodio di bullismo a scuola? Il compagno preso in giro c’è sempre stato, dirà qualcuno, ma non con una chat di gruppo dal nome poco sibillino ‘ne busca’, accompagnato al soprannome del ragazzo, in cui i ‘forti’ – almeno così si sentono – immortalano le loro prodezze in classe.
Eccolo il bollettino di una guerra silenziosa. Altro che le botte al Miche amplificate dal video e dalla politica che hanno tracimato i confini cittadini e regionali per arrivare nella Capitale.
E’ la devianza dei giovani la vera emergenza, se ancora qualcuno non lo avesse capito. Lo è per i giovani taglieggiati, per gli adulti impreparati alla violenza dei più piccoli e lo è anche per loro. Bulli che hanno fatto il salto di qualità. Questa è criminalità giovanile a tutti gli effetti, inutile nascondersi dietro il politicamente corretto che nega l’accezione giornalistica di baby gang perché rimanda alle bande americane. E’ il branco che li fa sentire imbattibili e in cui trovano una famiglia distratta, assente, incapace.
Ma chi sono i nostri ragazzi deviati? Fantasmi, perlopiù. Lo vuole giustamente la tutela che si deve ai minorenni. Ma qui non si tratta di sapere se si chiamino Mario o Francesco, se abbiano 16 anni e mezzo o 15, se frequentano questa o quell’altra scuola. Si tratta invece di affrontare un fenomeno che sembra dilagare in maniera incontrollata. In parte – inutile nasconderlo – sono immigrati di seconda e terza generazione che non si sono realmente integrati, oppure chi è arrivato da paesi lontani, portandosi dietro, culture e stili di vita differenti e un carico di dolore trasformato in rabbia. Questo non diventi però un alibi perché in quel disagio borderline ci sono anche i figli della città. Rabbia, sì, dicevamo. Anche perché lontani da quel mondo luccicante e impossibile che vorrebbe tutti calciatori o influencer milionari su Tik Tok. Il Paese reale, e la vita reale, è tutt’altra faccenda a saper creare modelli sani.
E’ innegabile che a giocare un ruolo a tratti decisivo sia l’evidente disagio sociale dei nostri tempi, figlio di un’economia che non riesce a spargere la ricchezza sostenibile all’interno di tutte le classi sociali. Dice bene l’edicolante Paolo Colella: "Che sia stato un ragazzo di appena diciassette anni dovrebbe farci riflettere. Questa è una sconfitta per tutti".
La saggezza popolare dovrebbe ancora insegnare qualcosa.