Firenze, 6 agosto 2023 – All’alba, come tutte - o quasi - le perquisizioni. Una cinquantina di poliziotti della squadra mobile di Firenze piombano nell’appartamento di viale Corsica assegnato alla famiglia di Kataleya Mia Alvarez Chicllo, la bambina di cinque anni scomparsa da quasi due mesi dall’hotel Astor di via Maragliano. Cercano, con l’ordine di arrestarlo e portarlo a Sollicciano, suo zio, Abel Argenis Alvarez Vasquez, detto Dominique, 27 anni il prossimo ottobre. Nello stesso momento, i carabinieri perquisiscono e si prendono i telefonini della sorella di Abel, Katherine, la mamma della piccola, e del babbo, Miguel Angel Romero Chicllo.
Sono due indagini che corrono parallele, che ieri mattina si sono avvicinate, intrecciate, intersecate: quella sul cosiddetto racket delle camere, in cui Abel, da ieri, è ufficialmente indagato con un ruolo di prim’ordine, e quella sul presunto rapimento della piccina, sul cui destino è calata una coltre di mistero dal 10 giugno scorso.
Ma non c’è solo la famiglia di Kata, di cui sono state perquisite complessivamente sette persone (più altri tre rumeni ex occupanti dell’Astor), nel “mirino“ degli investigatori.
Sempre la polizia, e sempre di buon’ora, bussa alla porta di una donna che ospita Carlos Martin Palomino De La Colina, il “capo“ dell’occupazione dell’Astor, colui che, secondo le accuse, sovente in combutta proprio con lo zio di Kata, avrebbe incassato soldi in cambio del “diritto ad occupare“ o chiesto somme per adeguare la struttura con lavori (non è chiaro se poi effettivamente svolti), ma anche usato la violenza per cacciare chi non voleva pagare un balzello di 600, 700, 1000 euro per garantirsi la permanenza. L’episodio più grave è quello del 28 maggio, quando un ecuadoregno, con un gruppo armato di mazze da baseball alla porta, decise di sottrarsi all’aggressione lanciandosi dalla finestra.
Della banda del “racket“ farebbero parte anche altri due peruviani, Nicolas Eduardo Lenes Aucacusi, 39 anni, detto Nicolas, e Carlos Manuel Salinas Mena, 63 anni, detto Manuel. Ad entrambi, sgomberati dall’Astor nell’operazione dello scorso 17 giugno, il Comune aveva dato una sistemazione alla foresteria Pertini di Sorgane. Ieri mattina, gli agenti della questura sono andati a prelevarli lì.
Ma la lunga giornata di ieri, che segna probabilmente l’inizio di una nuova fase dell’indagine, avvia anche una serie di accertamenti, pure nel loro interesse, a carico dei genitori.
Con l’acquisizione dei loro smartphone, verranno copiate o recuperate chat, attività sui social, messaggi, mail, cronologie delle navigazioni.
Questa procedura, per non lasciare niente di intentato nell’ambito di un’attività che sta tenendo impegnata quasi quotidianamente la Dda di Firenze, personale del Ros di Roma, il nucleo investigativo e il Ros del capoluogo toscano. E ieri, per quasi tutta la giornata, mamma e babbo sono rimasti nella caserma di Borgo Ognissanti.
Passati quasi due mesi dedicati all’analisi di tutte le telecamere disponibili - senza che in esse sia stata trovata una traccia inequivocabile dei rapitori di Kata o della bambina -, ora la sensazione è che si torni a concentrarsi sulle persone, sul passato e sul presente dei peruviani che occupavano l’Astor, sulle dinamiche dei clan che, nel delicato equilibrio della convivenza nell’ex hotel, venivano spesso bruscamente a contatto.
Ma a questo punto, la pista della vendetta non è l’unica in piedi. Rimane aperta l’ipotesi del gesto di una persona isolata, anche se ogni percorso investigativo si rallenta di fronte al rompicapo dell’uscita di Kata dall’Astor: come è stata portata via?
L’ultima immagine è quella registrata da una telecamera di via Boccherini: inquadra le scale interno dell’edificio, la bimba prima le sale, quasi giocando, e pochi secondi dopo le ridiscende. E poi sparisce.