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di Antonio
Natali
Nelle difficoltà, anche drammatiche o tragiche addirittura, si usa dire che per uscirne ognuno deve fare la sua parte.
Quanto sta succedendo in Ucraina, odiosamente aggredita, mi pare esiga giustappunto che ciascuno, nell’ambito delle sue competenze, porti un contributo all’azione d’isolamento dell’invasore Vladimir Putin.
In Ucraina s’affrontano i carri armati russi con doppiette da caccia e molotov. Di notte le famiglie s’accalcano nella metropolitana. E sotto i bombardamenti cresce il terrore dei bimbi.
È dissennato al presente ragionare dei nostri pur colpevoli silenzi sulla situazione ucraina negli anni che hanno preceduto lo scontro d’oggi. Sono responsabilità di cui si dovrà parlare; ma dopo. Ora è il momento di contromisure e deterrenti. Senza nulla escludere.
In questo contesto trovo che avrebbe un suo peso minacciare Putin che, se non recede presto dai suoi propositi scellerati, nei prossimi dieci anni l’Italia non presterà ai musei russi nessun opera dello Stato.
Ci sarà chi sorride di questa misura, che da sola sarebbe come versare in mare un bicchier d’acqua; ma da uomo che ha diretto gli Uffizi per una decina d’anni e che per trenta ha visto le istituzioni museali fiorentine contribuire considerevolmente all’esito felice d’esposizioni a Mosca e a San Pietroburgo, posso assicurare che si tratterebbe d’un isolamento culturale pesante e vergognoso per la Russia, specie se altri Stati europei e americani si conterranno allo stesso modo.
I politici hanno per tanti anni considerato i nostri capi d’opera biglietti da visita dello Stato italiano e di se stessi, prestandoli dove ci fosse da far brillare il nome del nostro Paese e magari quello loro personale. Ecco, è giunta l’ora d’usare quei beni a favore della pace e di un’umanità sofferente.
Porterò un esempio che reputo possa persuadere gli scettici del valore anche sociale delle opere d’arte. Nel 2015 – nel quadro della Città degli Uffizi – a Casal di Principe, la cosiddetta ’terra dei fuochi’, m’impegnai a ordinare una mostra intitolata ‘La luce vince l’ombra’. Erano dipinti caravaggeschi degli Uffizi selezionati in funzione d’una didattica segnatamente civica, con l’aspirazione a sostenere la gente di lì nello sforzo intrapreso d’affrancarsi dalla malavita organizzata. Tutta la parte sana di Casale si mosse perché l’impresa andasse a buon fine; e una sessantina di giovani casalesi sotto i trent’anni si proclamarono ’ambasciatori della cultura’, ambasciatori di pace cioè. Davvero la luce stava vincendo l’ombra, diradando le tenebre. L’esposizione fu allestita nella casa ch’era stata d’un camorrista: fu restaurata da uno studio d’architetti giovani, loro pure casalesi. Quella residenza, conosciuta col nome del camorrista che l’aveva abitata, da allora si chiama ’Casa don Peppe Diana’. Come dire: dai carnefici al martire.
Questa è la forza delle opere e dei musei italiani quando, invece di farne macchine finanziarie, s’affida loro una missione educativa, una missione formativa di coscienze storiche più mature. L’ora è arrivata di farne strumenti anche di pace.