
di Stefano Brogioni
FIRENZE
Quarant’anni fa, Firenze prese coscienza che c’era un mostro. Il mostro. Non era la prima volta che l’assassino uccideva: la similarità con il duplice omicidio del 1974 venne immediatamente notata e subito confermata dalla balistica, ma nessuno, in quel 6 giugno del 1981, seppur davanti allo strazio dei corpi di Carmela De Nuccio e Giovanni Foggi e alle mutilazioni di lei, avrebbe mai pensato all’incubo che si stava innescando.
Il caso mostro non è chiuso. Anzi, mentre oggi i parenti di quelle vittime chiedono ancora giustizia - arrivando fino al Parlamento -, l’inchiesta infinita continua ad alternare sprazzi di sole e nuvole. Con nuovi pezzi che forse fanno parte di quel mosaico del terrore incastonato tra il 1968 e il 1985. O forse no.
Pistola e proiettili. Nel gennaio del 2020, lungo la Firenze-Siena, nei pressi di San Donato, spuntò una Beretta dal ciglio della strada. Se ne accorsero gli operai che avevano il compito di sfalciare il bordo della carreggiata. Intervenne la polizia stradale di Firenze, che a sua volta consegnò l’arma alla polizia scientifica. Il procuratore aggiunto Luca Turco ha ordinato accertamenti su quell’arma, un modello 76 della tristemente famosa serie 70, quella che, secondo gli esperti, avrebbe partorito la semiautomatica che ha ucciso sedici giovani appartati in intimità nell’arco di 17 anni.
La risposta. E’ un modello compatibile con l’arma dei delitti? Potenzialmente sì, perché è entrata in commercio qualche mese prima del primo duplice omicidio di Signa, dell’agosto del 1968. Come afferma Jarno Antonelli della Beretta, a cui abbiamo chiesto un riscontro, il modello 76 "appare per la prima volta su un prezziario, il listino prezzi di vendita al pubblico, con l’indicazione “in vigore dal 10 aprile 1968”, quindi si deduce che la pistola fosse disponibile nelle armerie prima dell’agosto 1968".
Purtroppo, però, la calibro 22 di San Donato ha la canna talmente arrugginita che la polizia scientifica non ha potuto fare una comparazione con i segni lasciati sui bossoli degli omicidi. Però c’è altro. Questa Beretta ha la matricola illeggibile - non è chiaro se per le condizioni in cui è stata ritrovata o perché le cifre siano state limate - ma soprattutto ha cinque proiettili nel caricatore da 10 colpi. Cinque proiettili Winchester serie H.
Neanche questi, essendo intonsi, sono utili per comparazioni. Ma la coincidenza è suggestiva. E anche un po’ sinistra. E incredibilmente simile alla storia di un’altra Beretta calibro 22 ’emersa’ dal torrente Ensa, in località Madonna dei Tre fiumi, alto Mugello, nell’estate del 2016. Anche quella pistola (che aveva il percussore alterato) era caricata con le stesse cartucce utilizzate dal mostro. Una di queste, era addirittura già in canna. Mistero anche sulla sua origine: il numero di matricola porta a un’armeria fiorentina che oggi non c’è più e non esistono più i registri. Dunque, gli inquirenti non hanno potuto ricostruire chi abbia posseduto quell’arma. Ma un dubbio sorge. Perché tutte queste Beretta "fantasma" abbandonate nella campagna intorno a Firenze, non distanti dalle location degli omicidi del mostro? E perché caricate con quelle munizioni? Interrogativi che si sommano a tanti altri, che questa storia si porta dietro da più di 50 anni, nonostante le inchieste, i processi e le condanne dei due ’compagni di merende’ Mario Vanni e Giancarlo Lotti. Ma proprio quelle stesse sentenze, che non mettono tutti d’accordo, dicono che loro - con Pietro Pacciani - non c’erano in via dell’Arrigo, a Mosciano. E neanche a Calenzano, nell’ottobre successivo, o a Sagginale nel 1974. L’avvocato Antonio Mazzeo, legale della sorella della De Nuccio, ha chiesto di poter accedere agli atti della procura per completare una propria indagine. Gli è stato risposto no, ed è polemica.