
Il busto di Bernini a Costanza Bonarelli
Firenze, 2 novembre 2021 - ‘Il dolore non è un privilegio’. Non lo fu per Costanza Piccolomini Bonarelli, che intorno alla metà del Seicento fu sfregiata in viso su ordine di Gian Lorenzo Bernini. E non lo è per le migliaia di donne che anche oggi, subiscono feroci violenze e deturpazioni, specialmente con l’acido. Uno sfregio che punta prima di tutto al volto, per punire un rifiuto, cancellare l’identità di una donna.
In vista della giornata contro la violenza sull’universo femminine del 25 novembre, la Galleria degli Uffizi espone il busto dello stesso grande artista romano, Bernini, che intorno al 1638 scolpì il ritratto di Costanza Bonarelli, custodito dalla fine dell’Ottocento al Museo del Bargello. Accanto a questo capolavoro di epoca barocca, sono affiancate le foto di Ilaria Sagaria che ha ritratto donne sfregiate in volto, simbolo di una piaga che continua attraverso i secoli e che colpisce le donne di ogni Paese, per dare voce a un dramma senza tempo. E raccontate poeticamente, come gli scatti della Sagaria sanno fare, il dolore e la solitudine delle vittime degli attacchi con sostanze corrosive.
Da qui il titolo della mostra, ‘Sfregio’, a cui si abbina però il sottotitolo: ‘Il dolore non è un privilegio’. “La volontà degli uomini non è la morte, ma la punizione. Eventualmente si vuole uccidere la bellezza - spiega la fotografa Ilaria Sagaria - . Succede che le donne sfregiate, specialmente nei paesi più poveri, restano confinate in casa, non escono più, condannate a un calvario fisico e psicologico. Tanto da finire per essere quasi riconoscenti di non essere state ammazzate davvero. Anche se nella loro anima sono state uccise da tempo. Per questo ho voluto ribadire che no, il dolore non è un privilegio rispetto alla morte”. Ecco perché la mostra, a cura di Chiara Toti, viene organizzata simbolicamente nel mese in cui ricorre la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, ponendo in dialogo le immagini di Sagaria con la scultura del Bernini, restaurata per l’occasione a cura di Maura Masini, con un finanziamento degli Uffizi.
Lui l’aveva amata davvero la bellissima Costanza, e le aveva fatto un ritratto che è rimasto un capolavoro insuperabile, forse il suo solo lavoro che non nasce da una commissione esterna o del Papa Urbano VIII. Ma dal suo desiderio di avere sempre davanti agli occhi l’immagine dell’amata. Un’opera intima, per se stesso. Per questo non l’aveva voluta ricordare in una posa stereotipata, ma l’aveva colta un istante vero e naturale, per fissarlo nel marmo in eterno, con Costanza scapigliata, in vesta da camera e con le labbra socchiuse, gli occhi tristi, che sembra voltarsi di scatto.
Possibile che da tanto amore sia nata poi tutta quella rabbia?
Il busto di Costanza non racconta della violenza inferta con un coltello sul corpo vero della Bonarelli: il marmo ci è arrivato intatto nel raffigurare la morbida pelle della donna. Ma si sa che alcuni anni dopo questo lavoro, Bernini, scoprì che suo fratello Luigi aveva un legame con la ‘sua’ Costanza, impazzendo di gelosia. E fu così, sentendosi tradito e umiliato, che ordinò al suo servo di sfregiare il viso della sua amata. Praticamente nulle le conseguenze di questo gesto atroce: era protetto e si sentiva un intoccabile, come in realtà lo fu. Costanza invece venne reclusa in un monastero quattro mesi come punizione. Fece poi ritorno dal marito, Matteo Bonarelli, con il quale dette vita a un fiorente commercio di sculture: in lei oggi è riconosciuto un emblema della capacità di riscatto che si ritrova per fortuna in tante vittime di violenza, alle quali le fotografie di Ilaria Sagaria, danno liricamente voce.
«In occasione della mostra - ha detto il direttore degli Uffizi Eike Schmidt - il busto di Costanza Piccolomini Bonarelli è stato sottoposto a un restauro finanziato dalle Gallerie degli Uffizi: l’opera si può di nuovo apprezzare appieno, grazie a questo simbolico atto di risarcimento, però contro i danni del tempo. In mostra la guardiamo non solo come un capolavoro di uno dei massimi scultori barocchi, ma siamo invitati a riflettere sull’efferata violenza dei forti contro i deboli. E a meditare sul dolore inenarrabile della sopravvivenza».
“La violenza tramite acido è un fenomeno globale che non è legato all’etnia, alla religione e tanto meno alla posizione sociale e geografica – ha detto Sagaria - Nonostante siano stati registrati casi di aggressione anche ai danni di uomini, rimane una forma di violenza con un impatto maggiore sulle donne. Oltre alla brutalità fisica causata da un gesto inumano, c’è il trauma psicologico da affrontare: la perdita dell’identità, la depressione e l’isolamento. Dopo la fase di ospedalizzazione, sono costrette a passare lunghi periodi chiuse dentro casa e, anche quando potrebbero uscire all’aperto, rifiutano di mostrarsi in pubblico e di affrontare lo sguardo degli altri. Mettono via gli specchi e le loro fotografie, eliminando qualsiasi cosa che possa mostrare quello che erano prima e quello che sono diventate in seguito, diventando così prigioniere di una casa privata di memoria e identità. Attraverso le loro testimonianze, ho ricostruito un racconto, una mise-en-scène fotografica che potesse restituire questi momenti senza spettacolarizzarne il dolore, concentrandomi sull’aspetto psicologico e sul concetto di identità”.
Proprio per parlare di questo tema di stringente attualità, alla presentazione della mostra hanno portato la loro testimonianza Filomena Lamberti, vittima di violenza con l’acido e testimonial dell’associazione Spaziodonna di Salerno, Petra Filistrucchi, vicepresidente del centro antiviolenza Artemisia di Firenze, Jaf Shah, direttore esecutivo di Acid Survivors Trust International. All’iniziativa hanno preso parte anche la direttrice dei Musei del Bargello Paola d’Agostino, il consigliere d’amministrazione degli Uffizi Valdo Spini, la curatrice della mostra Chiara Toti e la stessa fotografa Ilaria Sagaria. Fino al 19 dicembre, progetto d’allestimento di Antonio Godoli