Firenze, 18 dicembre 2020 - Dalle macabre suggestioni stile mostro di Firenze, agli "affari di famiglia". Il giallo di Sollicciano, cominciato otto giorni fa, ha fatto tramonta re in fretta le ipotesi più fantasiose, ma è ugualmente un rompicapo di ipotesi e piste investigative all’ombra di dissidi o vendette. Anche se il campo delle indagini, oggi, sembra aver delimitato un perimetro netto, dentro al quale si stanno muovendo freneticamente i carabinieri. Da giovedì, quando, nel pomeriggio, dall’orto del contadino Michele Adiletta, è spuntata la prima delle quattro valigie. E’ cominciato così quel mosaico che ogni giorno si arricchisce di una nuova tessera. La cui soluzione potrebbe non tardare ad arrivare. Il dna. I prelievi alle figlie della coppia sembravano fondamentali per l’identificazione dei cadaveri. Ma il riconoscimento del corpo di Shpetim Pasho, classe 1960, è già avvenuto grazie alle sue impronte digitali recuperate dai resti contenuti nelle quattro valigie disseminate lungo il campo sotto la Fi-Pi-Li, a fianco del carcere. Formalmente dovrà essere identificata anche la moglie Teuta, ma la banca dati genetica sarà utile anche per le indagini. Dentro le valigie, nei tanti "imballaggi" con cui sono state avvolte le ossa (pellicole di nylon, domopak, nastro isolante, anche un piumino) sarebbero venute alla luce numerose tracce genetiche che dovranno adesso essere comparate. Ma con quali profili? I carabinieri stanno lavorando a testa bassa e bocca chiusa. I luoghi. Per arrivare a scoprire "chi", è importante anche capire "dove" e "come". La casa di via del Pantano, dove, nelle sue ’parentesi’ fuori dal carcere ha abitato uno dei tre figli della coppia, Taulant, con la fidanzata E., non sembra catturare l’attenzione degli inquirenti. D’altronde, in quell’appartamento perquisito dai carabinieri a giugno 2016 (in occasione dell’ennesimo arresto di Taulant) Shpetim e Teuta ci sono soltanto ’passati’: per il loro soggiorno a Firenze, durante il quale si sottoponevano anche ad alcune cure, prendevano una stanza da un’affittacamere. Nel periodo antecedente alla scomparsa, collocata da una denuncia della figlia Viktoria (Vitore all’anagrafe) al 2 novembre 2015, avrebbero soggiornato in due strutture, nella zona di Novoli e Castello. L’abbigliamento "domestico" di Teuta farebbe pensare che almeno il suo massacro sarebbe avvenuto in un momento casalingo. Anche il depezzamento dei cadaveri non può che essere avvenuto in una casa. Quel luogo, anche a distanza di cinque anni, con i progressi scientifici delle investigazioni, potrebbe ancora "parlare". I reperti. Così come "parlano" i reperti recuperati, tra giovedì scorso e mercoledì, nel campo di Sollicciano. E’ difficile dare una data precisa al "lancio" dei quattro bagagli in quel terreno incolto e impervio, dove è stato necessario disboscare per riuscire a recuperare la quarta valigia che consentirà di ricostruire i due cadaveri smembrati con tagli netti, quasi professionali. Tuttavia, c’è un range temporale che viene preso in considerazione. Il contadino che ha trovato la prima valigia ha detto di non essersi spinto fino a quel punto del suo orto forse anche due anni. Pure la vegetazione indica una certa ’vecchiaia’ dell’abbandono: dentro le valigie sono cresciute addirittura le radici. Ma perché è stato scelto quel punto? Era comodo, e vicino, o aveva un significato? Le ossa. Tuttavia, appaiono ’ben’ conservate le ossa. Una condizione che fa dire anche ai medici legali che le hanno analizzate che c’è stato un "processo particolare" che ha consentito un ritardo nelle fasi di deperimento, come se fosse intervenuto una sorta di congelamento. Sono stati custoditi in un ambiente particolare? E poi c’è da risolvere anche questo rebus nel rebus: le valigie sono state abbandonate subito dopo il duplice omicidio - quindi cinque anni fa - o quei resti sono rimasti nascosti altrove? Il lancio. La distanza, una settantina di metri tra un ritrovamento e l’altro, fa pensare agli investigatori che i ’lanci’ delle valigie siano avvenuti da un mezzo in movimento, e da un punto lungo qualche centinaio di metri in cui una barriera fonoassorbente è un ostacolo (superabile con un mezzo di trasporto ’alto’ o con un cassone aperto) ma anche una protezione da sguardi indiscreti. Ma questa operazione non è per tutti: serve appunto un mezzo grande, capace di ospitare tutte le valigie, e non basta una persona sola, dotata anche di una discreta forza. Niente sangue. Ma di forza, e di violenza, ne aveva anche chi ha ucciso i due coniugi, lui con una coltellata alla gola, lei con un brutale pestaggio. Tanta cattiveria è servita a farsi dire il nascondiglio del tesoro in contanti che i Pasho custodivano per conto del figlio Taulant? Dopo l’omicidio, c’è stato il depezzamento dei corpi. E anche per questa operazione è necessaria forza e ’maestria’, oltre che uno specifico utensile, forse una sega elettrica. L’avvolgimento dei resti nel domopak potrebbe essere stato finalizzato a non far gocciolare il sangue e dunque lasciare meno tracce possibile nel trasferimento dei cadaveri.
CronacaI resti "congelati" e la casa della mattanza: ecco i nodi da sciogliere