
Ivo Bindi, calzolaio di 82 anni in via Guelfa
Firenze, 1 agosto 2018 - Tornare indietro nel tempo? In via Guelfa è possibile, ma ancora per poco. Basta varcare la soglia della bottega di Ivo Bindi, calzolaio di 82 anni, per fare un tuffo nel passato, nell’atmosfera di una Firenze che sembra scomparsa per sempre.
In questa stanza di pochi metri quadri, che presto potrebbe chiudere i battenti, l’aria è impregnata dell’inconfondibile profumo del mastice e delle colle. I vecchi macchinari, graffiati dallo scorrere degli anni, ingombrano l’ambiente, intonandosi alla perfezione con i mobili di formica, lo specchio opaco senza cornice, gli attrezzi da lavoro adagiati alla rinfusa sul tavolino, la vecchia insegna attaccata al muro solo per ricordo. E poi c’è lui, il padrone di casa, con il sorriso gentile, lo sguardo paziente e il grande grembiule, sempre un po’ macchiato. Ha cominciato questo lavoro quando aveva dodici anni, dopo aver finito la quinta elementare. È arrivato a San Lorenzo nel 1955: in sessantatré anni il tempo ha cambiato lui e ha trasformato il quartiere. "Quello che vedo oggi sembra un altro mondo. E quello di prima mi sembrava meglio" constata lui, con la sua voce dimessa. Ivo a stare con le mani in mano non è mai stato abituato.
E con la pensione non ha cambiato troppo le abitudini in bottega. Si potrebbe stare ore a guardarlo lavorare, mentre risuola, ripara e incolla, con una maestria antica, che non conosce fretta, ma al tempo stesso procede veloce, senza incertezze. Spesso Ivo medita di lasciare anche questa poca attività che gli è rimasta, e che ormai è solo un passatempo. Ma la prospettiva getta nel panico i pochi residenti rimasti nella zona, abituati a rivolgersi a lui anche solo per un consiglio, con la certezza che sarà onesto. Il suo è un mestiere in declino: oggi i giovani non lo vogliono più fare. E anche trovare un successore a cui affidare l’attività è un problema. Ma se Ivo Bindi potesse tornare indietro, spiega, probabilmente farebbe la stessa scelta. "Quando ero giovane – riflette, come ad alta voce – non ho avuto molte alternative, ma questo lavoro è stata la mia vita e, a conti fatti, mi sono trovato bene". In questi anni, tutto è cambiato. "Quando ho cominciato – ricorda – si facevano ancora le scarpe su misura. Si prendevano le misure del cliente, poi si lavorava e si facevano le prove. E il prodotto finale era sempre unico".
Perchè ogni persona avrebbe bisogno di una scarpa diversa. E osservando una scarpa usata si può capire molto della persona che la indossa. Se è consumata troppo sul davanti, significa che chi la porta ha l’abitudine di trascinare i piedi. Se invece è consumata troppo sui lati, c’è un problema di postura, che si riflette sulla camminata. Da come è tenuta, si capisce il livello di precisione del padrone. E dai dettagli, se ne deduce l’eleganza. Il mestiere è stato cambiato radicalmente dall’avvento della produzione in serie. "Allora abbiamo dovuto adeguarci e ci siamo specializzati nelle riparazioni" spiega Bindi. Ma anche questo è ora un settore in crisi: la gente, oggi, è abituata a buttar via. "Se una scarpa la paghi poco è ovvio che non vuoi spendere per poter continuare a utilizzarla. Si fa prima ad aprire il cestino della spazzatura".