CARLO CASINI
Cronaca

Campi Bisenzio, isolati nell’alluvione: "Vedevo arrivare un fiume e non capivo"

Elisa Rossi, giovane campigiana, racconta i drammatici giorni dell'alluvione isolati da tutto, senza internet e corrente. "Ma senza connessione abbiamo riscoperto la solidarietà di vicinato"

Campi Bisenzio (Firenze,) 11 novembre 2023 – Un fiume che arriva sotto casa, improvviso; e non poter sapere cosa è successo perché oggi, senza internet, senza corrente, sei tagliato dal mondo. Sono i terribili momenti dell’alluvione di Campi vissuti da una finestra di via Palagetta. Ma in quel mondo dove tutti sono connessi dalla rete e sconnessi dalle persone, riscoprire l’autenticità e la forza dei legami di comunità, riscoprire la solidarietà nella tragedia. A raccontarli è Elisa Rossi, 26enne studentessa di Chimica.

Elisa Rossi mentre spala con la vicina alluvionata Iolanda Ciofi
Elisa Rossi mentre spala con la vicina alluvionata Iolanda Ciofi

“Siamo sempre pieni di fango, ma la corrente è tornata. Eravamo isolati da tutto: abbiamo capito solo la domenica cosa fosse effettivamente successo, la portata del disastro. Io sto al primo piano, dentro casa non è arrivata, si è allagato l’ingresso condominiale, a me è andata molto bene: ma ho vicini che hanno perso quasi tutto”.

Tutto è iniziato in quella drammatica notte di giovedì 2 novembre: “Alle 22 abbiamo visto uscire l’acqua dai tombini ed eravamo abbastanza tranquilli, credevamo fosse un problema di ricezione sulla strada – spiega la ragazza – Poi improvvisamente è rimbalzata la notizia che in centro usciva il Bisenzio dalle spallette. Alle 23 mi sono affacciata alla finestra e ho visto un fiume. Sono rimasta impietrita, non riuscivo a dire niente, riuscivo solo a inveire. È corsa mia mamma a vedere cosa stesse succedendo: davanti a quella visione surreale. Non un’onda, almeno qui, l’acqua arrivava piano ma incessante; in dieci minuti si è alzata di 60 centimetri. Subito è andata via la corrente, che era già saltata durante il temporale del pomeriggio, ed è saltato internet, la connessione era quasi assente. L’acqua non era potabile e comunque ne arrivava poca perché non funzionava l’autoclave".

"La nostra macchina è abbastanza alta e il piazzale è rialzato – prosegue la studentessa –, forse si è salvata, dovrà visionarla un meccanico; ma ho visto scene apocalittiche: macchine sbatacchiate le une contro le altre, portate via dalla piena. E Non capivo cosa stesse succedendo. Davanti a noi c’era uno che si era incocciato di spostarla, non c’era verso di convincerlo di andare. Non ce la faceva ad andare contro corrente: ‘levati levati – gli urlavamo –, salvati la vita, poi la macchina si vedrà”.

Ma lui niente, non ci ascoltava. Solo all’ultimo ci ha dato retta, ha capito che non ce l’avrebbe potuta fare, è riuscito a nuotare nella casa accanto e mettersi in salvo. Abbiamo visto dal portone piano piano l’acqua salire i gradini e non si sapeva fin dove sarebbe arrivata. Ho tirato un sospiro di sollievo solo quando ho visto che si era fermata. Ai vicini del piano terra abbiamo detto di salire, loro sì che sono stati colpiti dall’alluvione, sono stati ospitati nei piani alti del palazzo”.

“Essendo completamente isolata, ho saputo solo col ritorno della corrente dai vicini cosa fosse successo nel resto della Piana, fino ad allora non neanche ad avere notizia di cosa succedesse nel resto di Campi – spiega la ragazza –. Ogni tanto prendeva il telefono, riuscivamo a mandare un messaggio ai parenti per tranquillizzarli. Ma il cellulare lo tenevi acceso giusto il tempo di mandare un sms, poi lo spengevi per preservare la batteria”.

“Ciò che non capisco infatti è perché il Comune dava direttive tramite internet… senza corrente, senza campo che scelta è? Non era meglio una soluzione analogica? – riflette la giovane – Abbiamo capito solo d’istinto cosa stesse succedendo, cosa dovevamo fare. Abbiamo realizzato la gravità del fenomeno solo l’indomani, eravamo isolati, avevamo 70-80 centimetri di allagamento in strada. E vedevamo passare i mezzi anfibi, un paio di volontari con il canotto. Doveva essere un cataclisma molto, molto esteso. Ma nessuno ci dava informazioni. Venerdì sera due volontari della protezione civile, credo, passavano a piedi a gridare in strada se qualcuno aveva bisogno di bottiglie d’acqua, che l’acqua non era potabile. Solo il sabato, quando il livello cominciava a calare, si è potuto avere più informazioni, perché si poteva fare passaparola nel vicinato”.

“Stiamo vivendo una tragedia a Campi, ma si è attivata anche tanta solidarietà e rapporti di vicinato: io spalo nella taverna del mio amico che sta cento metri più in là, lui ci caricava i telefoni visto che è stato il primo a riavere la corrente. E migliaia di volontari a giro, ma lasciati a se stessi: c’è tanta buona volontà, ma manca un coordinamento, è tutto lasciato al caso, non si sta pianificando. Nei primi giorni, per avere acqua e cibo dovevamo andare andare a piedi al Comune, ma gli anziani come facevano ad arrivare fino a lì?”

E nella disgrazia, c’è anche un aneddoto che fa sorridere: “Io sono stata fortunata: per indolenza non sbrinavo il freezeer da tanto tempo, si era formato un grande blocco di ghiaccio la cui pulizia procrastinavo da mesi. È stato quello che ha salvato il cibo. Lo tenevo chiuso, una massa di ghiaccio così isolata ci mette molto a sciogliersi. Solo dopo due giorni ho visto che cominciava a gocciolare. Così per isteria, visto che non ne potevo più di quella situazione, ho urlato dalla finestra: “sarebbe il momento di rimettere la correnteeee’. Oh! Neanche a farlo apposta, dopo qualche attimo, non è ritornata davvero?!

“Ma proprio perché sono stata colpita poco, sto spalando – conclude Elisa – . Lo faccio per sentirmi utile. Di fronte a tutto questa forza devastatrice la sensazione che provi è l’impotenza. Senti il bisogno di fare qualcosa, di reagire agli eventi”.

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