Firenze, 12 settembre 2017 - L’appuntato scelto Marco Camuffo, di Prato, cinquant’anni suonati, il più alto in grado, il capo pattuglia della gazzella su cui sono salite, all’alba di giovedì scorso, le due studentesse americane che poi hanno denunciato la violenza sessuale, sta cominciando a metabolizzare la portata del suo errore. L’indagine, la sospensione dal servizio, il clamore mediatico giunge in un momento non proprio facile della sua vita privata. Chi lo conosce, lo ha trovato «distrutto». Separato e con tre figli, due femmine e un maschio, Camuffo è stato per anni in servizio nella stazione di Vaiano, nel Pratese, dove, a detta di diversi testimoni, si è sempre mosso con professionalità.
L’avvocatessa che ha scelto, Cristina Menichetti, sta svolgendo già da ora un compito non facile: difenderlo. Dal punto di vista disciplinare, la condanna è pressoché scritta: è stato «precauzionalmente» rimosso dall’impiego assieme al collega più giovane, il procuratore capo Giuseppe Creazzo ha chiarito che in questa vicenda «l’Arma è parte lesa» e, sempre ieri, il portavoce del Comando generale ha annunciato l’intenzione del Corpo di costituirsi parte civile in caso di processo, ricalcando le parole del sindaco di Firenze, Dario Nardella.
«Qui c’è una doppia lesione: quella nei riguardi delle due studentesse, per la quale è in corso l’accertamento, la seconda è quella che riguarda il Paese, l’Arma», ha detto il capo ufficio stampa dell’Arma, colonnello Roberto Riccardi. Dal punto di vista giuridico, dopo le parole riferite dal carabiniere al pubblico ministero Ornella Galeotti, sabato scorso in procura («abbiamo fatto sesso, ma erano consenzienti», l’estrema sintesi della sua versione) tutto o quasi si gioca, a questo punto, sulla perizia che dovrà stabilire quanto fossero ubriache le due studentesse a stelle e strisce e quindi la loro eventuale condizione di «minorata difesa». Il procuratore Creazzo ha confermato il loro stato di alterazione dall’alcol, secondo i primi rilievi effettuati a distanza di qualche ora dal presunto stupro. L’ulteriore accertamento in corso servirà a calcolare il tasso che scorreva nel loro sangue nel momento in cui le giovani hanno messo piede sulla gazzella del 112 e successivamente nell’androne del palazzo del centro in cui abitano.
L’avvocato Gabriele Zanobini, legale di una delle due studentesse, lo ribadisce: «La violenza sessuale non si consuma solo con la violenza fisica o con la minaccia, si consuma anche, e lo dice il codice penale, abusando delle condizioni di inferiorità psichica o fisica al momento del fatto: e le due ragazze erano in una situazione alterata, anche a causa dell’alcol, e in questa fattispecie segnalata dal codice penale il non consenso è implicito».
Oggi, intanto, potrebbe essere il giorno della presentazione in procura dell’altro militare, il carabiniere scelto Pietro Costa, 32 anni, nato a Palermo. La sensazione è che il colloquio con i magistrati sia slittato per un contrattempo: il suo legale avrebbe infatti già preso contatti con la procura che comunque, se non arrivasse spontaneamente, gli invierebbe un invito a comparire. Con la comparsa del secondo militare, l’indagine condotta dalla squadra mobile con la collaborazione degli stessi carabinieri, sembra aver scollinato. Il crescendo di riscontri alle parole riferite dalle ragazze, culminato nella versione fornita dall’appuntato, rende quasi superflue le prove genetiche, per i cui risultati servono comunque tempi sicuramente più lunghi.
La Procura, infine, ha precisato che il video in possesso degli inquirenti è un «frame» brevissimo, il cui audio, in cui si ode un frastuono che sembra musica, fa pensare che sia stato effettuato, forse per sbaglio, dalla ragazza mentre si trovava ancora in discoteca. Nello spezzone, non si sentono frasi ma si riconosce comunque l’uniforme di un carabiniere: la camicia, i pantaloni, la pistola.