Francesco Gurrieri
Cronaca

Quarant’anni di carcere, Sollicciano fu progetto rivoluzionario: serve un piano di recupero

Fu realizzato nel 1983 con i criteri più avanzati da un gruppo di giovani architetti. La strada più efficace oggi sarebbe una rigenerazione progressiva e per parti

I vigili del fuoco intervengono durante la protesta nel carcere di Sollicciano

Firenze, 6 luglio 2024 – La realizzazione di Sollicciano, nel 1983, fu salutata con unanime soddisfazione. Si disse allora che si dismettevano le obsolete, antigieniche carceri delle Murate, proponendo quanto di tipologicamente più avanzato vi fosse nel settore. Fu operazione assai importante anche perché, di conseguenza, si apriva la città ad una prospettiva di restauro urbano (oggi diremmo di “rigenerazione urbana”) che il Piano Regolatore Detti–La Pira aveva programmaticamente indicato ma non specificato. Era la strada giusta. Grazie all’impegno di un gruppo di giovani e bravi architetti (Andrea Mariotti, Gilberto Campani, Piero Inghirami, Italo Castore) avemmo un’architettura che nel suo inviluppo formale e spaziale voleva evocare il "giglio di Firenze".

Una forma aperta e in espansione, sia planimetricamente, sia nel suo sviluppo verticale. Dunque un perentorio abbandono della forma del “panocticon”, punto di arrivo ottocentesco dell’edilizia carceraria; una macchina, il panocticon, che consisteva in una costruzione ad anello con al centro una torre con finestre verso la faccia interna dell’anello: una macchina per dissociare la coppia vedere–esser visti. Insomma, dalla torre si vede tutto senza mai esser visti. Ciò per dire come, dal 1595, cioè dal primo esempio di carcere moderno realizzato ad Amsterdam fino alla pianta stellare con le celle disposte lungo i raggi si fossero sperimentate geometrie planimetriche sofisticate ma tutte caratterizzate dal principio del controllo visivo diretto. Con buona pace per il nostro Cesare Beccaria (1738 – 1794), fra i maggiori esponenti dell’illuminismo italiano, con la sua opera “Dei delitti e delle pene”, con la sua serrata analisi contro la pena di morte e la tortura che ispirò anche il granduca Pietro Leopoldo per il suo Codice. Sollicciano prevedeva (e poi realizzato) tutti gli spazi funzionali, pubbliche relazioni, area educativa, area amministrativa, direzione ed altro ancora.

Né va dimenticato l’interesse di Giovanni Michelucci per Sollicciano e il suo spazio verde, portato poi avanti dalla Fondazione fiesolana. Torna fondamentale ricordare che la capienza di progetto era di 494 unità e che il personale addetto era previsto in 696 addetti.

Oggi si discute sulla sua inadeguatezza. C’è chi ne vorrebbe la demolizione con una nuova costruzione, c’è chi ne invoca da tempo un serio restauro e una ristrutturazione interna. C’è chi richiama una manutenzione che non sarebbe stata effettuata in modi e in tempi adeguati.

Personalmente, credo che la strada più rapida ed efficace possa essere quella della rigenerazione (progressiva, per parti), con un serio e circostanziato “Piano di rigenerazione per Sollicciano” che il ministero e il ministro non dovrebbero rimandare ancora. A quarant’anni dalla costruzione, il maggior istituto di detenzione della Toscana, lo merita.