Enzo Brogi
Cronaca

Emergenza Sollicciano. “E’ una tomba per i vivi. Unica soluzione chiuderlo”

Suicidi a ripetizione. I tentativi di risanamento sono stati un fallimento. Scandaloso che accada in Toscana, da sempre all’avanguardia nei diritti civili

Nel carcere di Sollicciano il nuovo anno è iniziato nel peggiore dei modi. Giovedì pomeriggio un detenuto di origini egiziane si è suicidato nella sua cella. Nel 2024 invece sono stati 64 i tentati suicidi nel carcere fiorentino, e due i detenuti che si sono tolti la vita. Sempre l’anno scorso, il penitenziario è stato teatro di una rivolta dove due sezioni sono state date alle fiamme. Sul fronte giudiziario: alcuni mesi fa sono stati presentati cento ricorsi contro il carcere inumano da altrettante persone che stanno scontando una pena definitiva nella casa circondariale. Ricorsi dall’esito pressoché scontato, in virtù di una sentenza di condanna dell’Italia da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, a cui si appellano i ricorrenti, che fissa i paletti della dignità ambientale dietro le sbarre. Quella che a Sollicciano è stata smarrita.

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Detenuto trovato morto a Sollicciano. Aveva fatto ricorso contro le celle inumane

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Per Sollicciano, inoltre, con la direttrice Antonella Tuoni assente per malattia, il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (Dap) ha nominato due nuovi vicedirettori che dovrebbero entrare in servizio nei prossimi giorni. Si tratta di Valentina Angioletti e Valeria Vitrani.

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Una delle ultime proteste dei detenuti per le condizioni di vita dentro Sollicciano

Firenze, 6 gennaio 2025 – Neppure una settimana è trascorsa dall’inizio del nuovo anno e già si conta il primo suicidio nel carcere di Sollicciano. Un ragazzo di 25 anni, con neppure due anni di pena residua, ha deciso di togliersi la vita. Era fragile e aveva già tentato il suicidio in passato. Subito dopo capodanno ce l’ha fatta, e come lui un altro giovane la vigilia di Natale. Stesse celle degradate, lo stesso ambiente indecoroso, lo stesso dramma umano.

In qui lugubri e scalcinati corridoi del carcere fiorentino, risuonano tragicamente vuote le parole di papa Francesco che, solo pochi giorni fa, aprendo il Giubileo, aveva voluto spalancare simbolicamente una porta nel carcere di Rebibbia, richiamando l’attenzione sul rispetto della dignità umana, anche per chi ha sbagliato, perché quella negata ai colpevoli diventa inevitabilmente dignità negata a tutti. Eppure, nelle nostre carceri, tra le peggiori d’Europa per condizioni di disumanità, sovraffollamento e carenze igienico-sanitarie, quella dignità sembra essere sistematicamente calpestata.

L’Italia è stata più volte sanzionata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e inserita dal Consiglio d’Europa tra i Paesi con le prigioni meno vivibili. Quasi 100 suicidi si sono verificati lo scorso anno: una cifra che conferma come il carcere, così com’è oggi, non sia un luogo di rieducazione, ma un amplificatore di Quello di Sollicciano, a Firenze, rappresenta uno degli esempi più desolanti di abiezione architettonica e gestionale. La struttura, con ampi spazi inutilizzabili e luoghi di vita compressi e angusti, sembra progettata per mortificare il recluso e allontanarlo da ogni possibilità di rieducazione. A queste scelte strutturali si aggiungono anni di degrado e abbandono: molte celle umide e gelide d’inverno, torride d’estate, servizi igienici che funzionano a intermittenza, acqua calda spesso assente, e una fauna indesiderata di zecche e scarafaggi a infestare materassi e cuscini.

Si tratta di un luogo che sembra non poter essere ristrutturato: ogni tentativo di risanamento si è rivelato un inutile spreco di risorse pubbliche. La sua chiusura parrebbe l’unica soluzione sensata. Le carceri dovrebbero essere spazi dedicati alla rieducazione, non tombe per i vivi. Eppure, Sollicciano – come molte altre strutture italiane – ospita persone in condizioni inaccettabili: detenuti in attesa di giudizio, tossicodipendenti che necessiterebbero di percorsi di recupero in comunità, stranieri che potrebbero essere trasferiti nei Paesi di origine.

A questo si aggiungono una scarsissima presenza di personale sanitario e di custodia, la quasi totale assenza di supporto psicologico e psichiatrico, difficoltà nelle comunicazioni con i familiari e una cronica carenza di attività educative, scolastiche e lavorative. Ore e ore trascorse in una cella di 14 metri quadrati, in condivisione con altre tre o quattro persone di età, cultura, lingua, reati e religione diverse, senza nulla da fare, non sono una punizione costruttiva: sono un moltiplicatore di rabbia, rancore e disperazione. Il carcere non dovrebbe ammalare o uccidere, ma restituire alla società persone sane, corrette e rieducate. È scandaloso che questa situazione si verifichi anche in Toscana, una regione da sempre all’avanguardia nei diritti civili, che per prima abolì la pena di morte e la tortura, e che ogni anno celebra il proprio primato illuminato. Si onori la nostra Costituzione, anche l’articolo 27, che prevede che le pene debbano essere umane e volte alla rieducazione. La reintegrazione sociale non è un favore concesso al detenuto, ma una responsabilità collettiva che rafforza la comunità intera, riduce la recidiva e i costi sociali ed economici legati alla criminalità, contribuisce a rendere una società più sicura e coesa.

Non c’è più tempo per Sollicciano: le Istituzioni devono agire con urgenza. Il Consiglio Regionale e il Comune di Firenze dovrebbero convocare sedute straordinarie per affrontare questa emergenza e incalzare il Governo affinché intervenga. E, nonostante tutto questo drammatico paradosso, è ancora in bella mostra, all’ingresso della prigione, la targa ’Nuovo complesso penitenziario’. Già, che così com’è non fa rima né con giusto né con giustizia.

Enzo Brogi è attivista per i diritti, già consigliere regionale