Firenze, 15 dicembre 2024 – Ho 29 anni, mi sono trasferita a Firenze per lavoro e devo trovare una casa (quantomeno una stanza) in affitto. I prezzi post Covid sono lievitati. Vivere con altre 3 o 4 persone, magari con un solo un bagno, costa minimo 450 euro. Spese escluse ovvio.
Dopo anni di convivenza da studentessa potrei permettermi (pensavo ingenuamente) un monolocale. Per i primi mesi faccio la pendolare, il poco tempo libero lo passo a sfogliare annunci, mi concentro sulle zone più vicine al lavoro, centrali ma non troppo. Decine di messaggi, mail, ma quelli che rispondono si contano sulle dita di una mano. Poi incappo in un monolocale a 600 euro in zona Faentina, spese escluse. Sull’annuncio dicono 12m², ma nelle foto sembra esserci tutto. L’agenzia che gestisce l’affitto è sconosciuta ma facilmente accessibile, per i contatti dell’affittuario devi prendere appuntamento e parlare con un loro operatore. Si chiamano “aggregatori di annunci” e per la mediazione si fanno pagare 250 euro (se va bene). In realtà una volta che ti danno i numeri dei proprietari spariscono.
Alla fine, un po’ per stanchezza, un po’ per disperazione, vado nel loro ufficio di Ponte alle Mosse. Insieme a me ci sono un ragazzo straniero, un paio di lavoratori e una donna di mezza età. Dall’altra parte i due operatori non fanno pari a rispondere al telefono. Rimedio 5 contatti: i primi due vanno a vuoto, il terzo è la proprietaria del mini monolocale dell’annuncio. Mi risponde quasi subito ed è pronta ad affittarmelo, non le interessa per quanti mesi. Mi invita ad andarlo a vedere l’indomani. È al primo piano, ingresso in comune con il suo appartamento, mi spiega che ha ricavato due monolocali dalle stanze dei figli. Entriamo: tre passi di corridoio, sulla sinistra una porta a soffietto dà sul bagno, minuscolo, e la lavatrice non c’è diversamente dalle foto. L’intera parete destra è occupata da un armadio alto fino al soffitto, un divano letto centrale, a sinistra un cucinotto ad angolo con il minimo essenziale e un tavolino in plastica per due. È veramente piccolo, ma potrei accontentarmi.
Mi chiede una mensilità di caparra (600 euro appunto) e le copie dei documenti per farmi un contratto che non vedrò mai. Alla fine ci rimarrò fino a fine marzo 2023, sei mesi con la schiena devastata da un futon gettato su sbarre di ferro come letto, il bagno intasato ogni 3 giorni perché comunica con il lavandino della cucina. Pagamenti rigorosamente in contanti, senza neppure una ricevuta. Le bollette che avrebbe dovuto girarmi non arrivano mai. Il conto, salato, arriverà alla fine. A marzo mi dice che devo andare via, lo ha già promesso a un altro ragazzo, e che avrebbe trattenuto la caparra per quelle famose bollette che io non ho mai visto.