di Stefano Brogioni
FIRENZE
C’è ancora una possibilità, affinché si continui a far luce sulla cartuccia dell’orto di Pietro Pacciani, rinvenuta nel corso di una perquisizione dell’aprile del 1992, quando il contadino era stato appena indagato per i delitti del mostro. Nella richiesta di archiviazione dell’indagine depositata mesi addietro presso il gip, Silvia Romeo, il procuratore aggiunto Luca Turco lascia aperta la porta all’esito di un accertamento, ancora non terminato a distanza di un anno, affidato ai carabinieri del Ris di Roma: in caso di evenienze nuove, il fascicolo potrebbe essere riaperto.
Una prima consulenza, sempre dei Ris, successiva al deposito delle conclusioni della consulenza balistica di Paride Minervini (che parlava di segni artefatti, provocati da una pressione anomala sull’unghia estrattrice, forse con colpi di martello), aveva lasciato aperta ogni ipotesi: e cioè che il segno dell’estrattore presente sulla pallottola dell’orto fosse stato “naturalmente“ provocato da un’arma o che esso fosse stato il risultato dell’uso di un arnese.
Pur nell’incertezza dell’origine di quell’impronta, i tecnici sembrano essere d’accordo su un punto: nei bossoli sparati dal mostro negli otto duplici omicidi a lui attribuiti, i segni dell’unghia sono assenti o appena percettibili. Come faceva notare il difensore di Pacciani, Rosario Bevacqua, sin dai tempi dei processi da cui il suo assistito uscì assolto in Appello.
Difficile, dunque, che la stessa arma potesse lasciare su una cartuccia non esplosa, un tratto così marcato.
Fu quindi un errore associare la Winchester deformata dell’orto alla pistola del mostro? Una forzatura? Il dubbio resta, anche per l’imparità delle comparazioni: dei bossoli sparati contro una cartuccia non esplosa, in assenza dell’arma dei delitti.
Ma la procura, che ha ripreso mano le vecchie perizie, a cominciare da quella firmata da Ignazio Spampinato e Pietro Benedetti, spera di vederci ugualmente un po’ più chiaro.
E ai Ris è stata chiesto di approfondire ampliando lo spettro delle calibro 22 che, se il segno non fosse artefatto, avrebbero potuto lasciare quella “unghiata“.
Capire, insomma, quale arma avrebbe incamerato quella pallottola, che oggi si presenta scomposta in quattro parti, se non ci fosse stato dolo nel provocare l’ormai famigerato graffio vicino al fondello.
Tra le pistole prese in considerazione, c’è anche la “High Standard“.
L’ultimo indagato dell’inchiesta infinita, l’ex legionario di Prato Giampiero Vigilanti, ne possedeva una.
Essa sparì, misteriorsamente, pochi giorni prima che venisse perquisito, alla fine del 2013.
Ma il faldone, di cui il gip ha autorizzato la consultazione ai legali delle vittime francesi di Scopeti che ne avevano fatto richiesta, contiene oltre agli accertamenti di natura balistica, anche gli approfondimenti compiuti dopo la chiusura del filone sulla pista “nera“.