Firenze, 6 agosto 2022- "Amico, che ti serve? Vuoi la roba?". Bastano pochi secondi al parco delle Cascine per essere avvicinati da uno spacciatore, che a qualsiasi ora del giorno e della notte cerca di vendere droga. Non c’entrano niente le conoscenze o le amicizie ‘giuste’, basta trovarsi in quello che dovrebbe essere il polmone verde della città, diventato una vera e propria piazza di spaccio almeno per hashish e pasticche. Abbiamo deciso di andare in prima persona, cercando di capire come fare a reperire stupefacenti per scoprire quanto è difficile (o facile) trovarla.
Vestiti come turisti, t-shirt, cappello da baseball, marsupio e pantaloncini, iniziamo il viaggio dal teatro del Maggio, prendendo una bicicletta a noleggio da usare per addentrarci all’interno delle Cascine. Pedalando nella monumentale piazza Vittorio Veneto sembra tutto normale, ci sono mamme con i bambini nei passeggini sotto gli alberi che cercano il fresco in questa torrida estate, altri giocano a pallone o sono seduti al chiosco a chiacchierare e scherzare.
Arrivati all’inizio vero e proprio del parco, lasciamo la bicicletta e già sentiamo i primi fischi per attirare l’attenzione. Su una panchina poco distante ci sono quattro ragazzi africani, che stanno cercando di farsi notare. Due, con maglia da basket, berretto e occhiali da sole giocano a carte, uno è in piedi al telefono e si guarda intorno. Il quarto è l’autore dei fischi, sicuramente meno di 30 anni, sorriso a 32 denti bianchissimi, senza maglietta e con una capigliatura in perfetto stile afro. E’ lui che si avvicina con fare amichevole. "Ehi amico, vuoi qualcosa?".
Poco distante un ragazzino esulta per un gol con gli amici: luci e ombre a un tiro di schioppo.
La contrattazione inizia. Si mercanteggia.
"Amico la coca non te la posso vendere – spiega il nostro interlocutore -. Non ti ho mai visto, la coca la vendono dentro, mica posso portare degli sconosciuti", spiega indicando il retro della fermata Carlo Monni della tramvia. Un posto dove non si arriva per caso. Dove la vegetazione è più fitta ed è più difficile entrare senza essere bloccati dalle ’sentinelle’. La situazione si fa più chiara, Oba – così si chiama il ragazzo africano – e i suoi tre compagni sono il pre-triage del giro della droga. Quelli che sbrigano le pratiche più “veloci” e filtrano chi entra verso il gruppo principale. "Se vuoi ho hashish o pasticche, ma quanti soldi hai?". Chiediamo di vedere la merce, accordandoci per un prezzo di 50 euro.
Oba, che fino a quel momento è sempre stato a massimo un passo da noi, si gira di scatto e torna alla sua panchina. La strategia di rifornimento è molto facile, si siede, si sporge all’indietro e inizia a rovistare nella siepe. Una volta preso quello di cui aveva bisogno ci fa segno di avvicinarci. In un secondo all’interno del nostro marsupio troviamo i due piatti del menù. Un sacchetto di plastica con tre pasticche colorate e un lingottino marrone di hashish. Scegliamo il ’fumo’. Oba non batte ciglio, rimette mano al nostro marsupio, ripe scando il suo sacchetto, nascondendolo di nuovo nel ’magazzino’ tra rovi e piante. Dove è facile trovarlo ma difficile addebitarlo al singolo, in caso di intervento delle forze di polizia che pattugliano spesso la zona con tutte le difficoltà di entrare in un posto immerso nel verde in cui nascondersi e scappare sembra fin troppo semplice.
L’acquisto è fatto (finirà in Arno ovviamente). "Torna quando vuoi amico, io sono qui", sfodera di nuovo il suo sorriso smagliante anche per farci capire di andare via all’istante. Il gruppo ritorna alla sua routine, le carte tornano a essere mescolate, Oba si apre una birra e si guarda intorno, mentre l’ultimo del gruppo non si è fermato un attimo continuando a camminare. Riprendiamo la bicicletta, e lo scenario che avevamo visto arrivando è rimasto immutato. Mamme coi passeggini, i ragazzi del pallone, gli spacciatori appostati che convivono con il resto dell’ambiente, con una semplicità disarmante.