
. ouis-Ferdinand Céline, pseudonimo di Louis Ferdinand Auguste Destouches, è stato uno scrittore e saggista francese
Eccoci qui, ancora soli. C’è un’inerzia, in tutto questo, una pesantezza, una tristezza... Fra poco sarò vecchio. E la sarà finita, una buona volta. Gente n’è venuta tanta, in camera mia. Tutti han detto qualcosa. Mica m’han detto gran che. Se ne sono andati. Si son fatti vecchi, miserabili e torpidi, ciascuno in un suo cantuccio di mondo.
Ieri alle otto la signora Bérenge, la portinaia, è morta. Si sta schiodando dalla notte un gran temporale. Quassù in cima dove stiamo noi il casamento trema. Era una cara e gentile e fedele amica. Domani la sotterreranno in Rue des Saules. Era proprio vecchia, allo stremo della vecchiaia. Io gliel’avevo detto fin dal primo giorno che s’era messa a tossire: "Non si sdrai, soprattutto!... Se ne resti a ceccia nel suo letto!" Non ero affatto tranquillo. E infatti ecco qua... E infatti, al diavolo...
Mica l’ho praticata sempre, ‘sta merda di medicina. Ora glielo voglio proprio scrivere ch’è morta, la signora Bérenge, a tutti quelli che m’han conosciuto, che han conosciuto lei. Ma dove saranno?
Vorrei che il temporale facesse ancor più baccano, che i tetti sprofondassero, che la primavera non ritornasse più, che casa nostra sparisse.
Lei lo sapeva, la signora Bérenge, che tutti i dispiaceri arrivan per lettera. Ma mica so più a chi scrivere... È tutta gente lontana... Si son cambiati l’anima per tradir meglio, scordar meglio, parlar sempre d’altro...
Vecchia signora Bérenge, il suo cane strabico se lo prenderanno, se lo porteranno via...
Tutto il dolore delle lettere, da una ventina d’anni ormai, s’è fermato da lei. Eccolo qui nel sentore della morte recente, l’incredibile acre gusto... È appena uscito dall’uovo... È qui... Se la gironzola... Lui conosce noi, noi conosciamo lui, adesso. Non se n’andrà mai più. Bisogna spengere il fuoco nella guardiola. Ma a chi scrivere? Non ho più nessuno, Più un’anima che accolga dolcemente lo spirito gentile dei morti... che parli, dopo di ciò, con più dolcezza delle cose.... Animo, via, da soli!
Sull’ultimo, la mia vecchia custode, lei non poteva più dir nulla. Soffocava, mi tratteneva per una mano... È entrato il postino. L’ha vista morire. Un rantoletto. Tutto qui. Ne venne da lei gente, una volta, per chieder di me. Se ne son riandati via, lontano, molto lontano nella dimenticanza, a cercarsi un’anima. Il postino s’è levato il berretto. Potrei dir io tutto il mio fiele. So io. Lo farò più in là, se non torneranno. Ora preferisco raccontar delle storielle. Ne racconterò di tali che quelli torneranno apposta, per accopparmi, dai quattro venti. Allora la sarà finita e ne sarò arcicontento.
Nella clinica dove fo servizio io, la Fondazione Linuty, già m’han fatto mille osservazioni spiacevoli per le storielle che vo raccontando... Mio cugino Gustin Sabayot, al proposito, è esplicito: dovrei proprio cambiar registro. È medico anche lui, ma dall’altra parte della Senna, alla Chapelle-Jonction. Ieri mi mancò il tempo d’andarlo a trovare. Volevo appunto parlargli della signora Bérenge. Me la sbrogliai troppo tardi. È un mestieraccio faticoso, il nostro, con le visite. Anche lui la sera è un cencio. Quasi tutti pongon domande snervanti. Hai voglia di cercar di sbrigarti, bisogna ripetergli una ventina di volte tutte le minuzie della prescrizione. Ci pròvan gusto a farti chiacchierare, a far ch’un si sfibri... Non se ne faranno nulla dei buoni consigli, proprio un bel nulla. Ma han paura ch’un non s’affatichi abbastanza, e per esser più sicuri insistono; son ventose, radiografie, prese... Fan ch’un li palpi da capo a piedi... Fan ch’un gli misuri ogni cosa... L’arteriosa e la fan... culaggine loro... Gustin, lui, alla Jonction, sono ormai trent’anni che pratica. I miei, i miei accattoni, ci sto pensando da un pezzo, finirò con lo spedirli un bel mattino ai mattatoi della Villette, a ber sangue caldo. Gli toglierà la lena fin dall’aurora. Proprio non saprei che altro fare per disgustarli.
Finalmente ier l’altro ero deciso d’andarlo a trovare, il Gustin, a casa sua. La sua landa è a venti minuti da me, una volta passata la Senna. Mica bello come tempo. Mi butto lo stesso. Prenderò l’autobus, mi fo. Corro a finir la mia tornata. Me la filo per la corsia delle medicazioni. Una marcolfa m’avvista e m’abbranca. Ha una voce strascicosa, come la mia. In me è la stanchezza. Ma lei raschia per giunta, ed è l’alcool. Ora fa il piagnisteo, vuol rimorchiarmi. "Venga, dottore, la scongiuro!... la mia figlioletta, la mia Alice!... È in Rue Rancienne!... a due passi!...". (...)