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Bally Studio chiude stabilimento a Lastra a Signa. Cgil: “55 dipendenti a casa senza sussidi”

Il sindacato si oppone ai licenziamenti e chiede un tavolo all’unità di crisi della Regione Toscana. “Primo Brand che a fronte della crisi della pelletteria sceglie di scomparire lasciando 55 persone senza alcuna soluzione”

Difficoltà nel settore pelletteria, aziende in crisi (Foto repertorio Germogli)

Difficoltà nel settore pelletteria, aziende in crisi (Foto repertorio Germogli)

Lastra a Signa (Firenze), 6 dicembre 2024 – Chiude l’azienda Bally Studio srl a Lastra a Signa. Dura protesta della Cgil che chiede un tavolo all’unità di crisi della Regione Toscana per opporsi al licenziamento di 55 dipendenti. Non si tratta di una ditta contoterzista ma di un Brand che produce a nome proprio abbigliamento, borse e piccola pelletteria.

“Ieri sera ci è stato comunicato dal rappresentante legale della Bally Studio srl di proprietà Regent LP, fondo di investimento Californiano subentrato da qualche mese come proprietario, la chiusura dello stabilimento di Lastra a Signa. Chiusura che avviene, nei piani dell’azienda, senza aver utilizzato nessun tipo di ammortizzatori sociali – si legge in una nota del sindacato –  Riteniamo questo percorso, che arriva alla fine di scelte aziendali non adeguate, inaccettabile, sbagliato e non praticabile”.

"Si tratta del primo Brand che a fronte della crisi della pelletteria sceglie di scomparire lasciando 55 persone senza alcuna soluzione – continua il comunicato – Come Cgil e Filcams chiediamo l’apertura di un tavolo all’unità di crisi della regione Toscana in cui porremo il ritiro dei licenziamenti e l’utilizzo degli ammortizzatori sociali. Siamo assolutamente contrari a questo tipo di scelte, chiediamo alla Regione Toscana di essere al fianco dei lavoratori e delle lavoratrici dichiarando inaccettabili i licenziamenti come strumento per la gestione della crisi nel settore della pelletteria. Il Governo nazionale con la sua non azione si sta assumendo la responsabilità di un massacro sociale, ribadiamo le nostre richieste, già avanzate ai vari tavoli da Roma in giù, di dotarsi di una politica industriale degna di questo nome e finanziare nuovi e concreti ammortizzatori sociali, per tutti i settori coinvolti, adeguati alla gravità della crisi. La salvaguardia della filiera produttiva della pelletteria del territorio deve essere protetta proprio a partire dalle sue capacità produttive e impiantistiche. Chiudere significa impoverire un territorio in maniera irreversibile”.

Il sindacato si rivolge alle associazioni di categoria: “Alle Associazioni datoriali, a partire da Confindustria chiediamo di agire un ruolo di responsabilità e l’apertura di un tavolo per la gestione complessiva delle crisi. Ai Principali brand del lusso presenti sul nostro territorio chiediamo esplicitamente di non seguire questa strada, di assumersi le proprie responsabilità e di confrontarsi con noi su soluzioni socialmente sostenibili”.

"Martedì prossimo – conclude la nota – ci sarà l’assemblea nella quale proporremo iniziative di lotta alle quali si affiancheranno i lavoratori delegati di tutto il distretto della pelletteria a difesa dei lavoratori della Bally studio srl. Difenderemo il distretto fiorentino da chi pensa che la crisi la debbano pagare le lavoratrici e i lavoratori. Chiediamo a tutti i soggetti, istituzionali, politici di dimostrare concretamente da che parte stare”.

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Per Paolo Fantappiè, segretario generale Uil Toscana, “Chiediamo a Confindustria - alla luce delle dichiarazioni espresse durante la manifestazione dello scorso 12 novembre a Firenze - di intervenire contro un’azienda che lascia a casa 55 persone senza essersi confrontata con le organizzazioni sindacali e aver tentato soluzioni alternative. Questo colonialismo imprenditoriale, che sta caratterizzando troppo e vincolando fortemente le attività produttive in Toscana, deve trovare soluzioni e regole, a partire dalla difesa del lavoro e dei lavoratori.”

Per Marco Conficconi, segretario generale UilTucs Toscana, “nel contesto della crisi del settore moda, siamo di fronte all’ennesimo brand che non solo non si vede ai tavoli di trattativa, ma che si permette di lasciare a casa 55 persone senza alcun confronto con le organizzazioni sindacali né utilizzo di ammortizzatori sociali. Questi grandi player internazionali - come questo fondo d’investimento - arrivano, fanno profitti enormi e se ne vanno lasciando macerie sociali sul territorio, è inaccettabile. Le aziende devono confrontarsi su come praticare soluzioni socialmente più sostenibili, non scappare senza assumersi le loro responsabilità!”