
Angelo Mari. Foto Marco Mori/New Press Photo
FIRENZE
Era il 1927 quando il Giglio Rosso aprì per la prima volta al pubblico proprio lì, dove un tempo c’erano le stalle. Nel cuore di via Panzani, a due passi da Santa Maria Novella. Dopo quasi cento anni di storia il ristorante, gestito da Angelo Mari dal 1972, ieri ha tirato giù la saracinesca. "Non so quando riaprirò, se riaprirò e se mi resteranno le forze per farlo. Ho avuto i 25mila euro, ho chiesto prestiti e ho esaurito i miei risparmi, tutti i sacrifici di una vita. Ci ho provato a rimanere a galla ma sono stato costretto a chiudere".
Ha la voce rotta dalla rabbia Angelo Mari che da 48 anni cerca di difendere la tradizione culinaria fiorentina nel centro di Firenze. Il 20 giugno, subito dopo la fine del lockdown, ha deciso di riaprire, soprattutto per i suoi dipendenti, e ce l’ha messa davvero tutta. "Ma è stata una corsa contro il vento – si sfoga -. Firenze si è sviluppata per soddisfare la domanda di almeno 14milioni di turisti. Sono loro la nostra linfa, senza è impossibile andare avanti".
Il titolare dello storico ristorante mette sul tavolo i numeri: dal 20 giugno al 31 ottobre ha lavorato con perdite del 70% che hanno sfiorato in alcuni giorni il 77%. "Dal 20 giugno – riprende – ho perso in media 800 euro al giorno. Aprire comporta dei costi, come quelli del personale, dei rifornimenti per non parlare di tutte le utenze fisse. Ho esaurito tutti i miei risparmi". La decisione di chiudere è maturata anche in seguito all’ultimo Dpcm che impone il coprifuoco alle 18. "Ci siamo presi una settimana di tempo per valutare gli effetti – sottolinea Mari – che come immaginavamo si sono rivelati disastrosi. In media abbiamo servito a pranzo non più di cinque persone al giorno, amici più che altro. Anche quei pochi clienti che avevamo, impiegati degli uffici, li abbiamo persi. La scorsa settimana diverse aziende, ci hanno spiegato, hanno potenziato lo smart working con le conseguenze che sono state sotto gli occhi di tutti: tavoli vuoti e strade deserte". Così Mari si è ritrovato con le spalle al muro, costretto a prendere la decisione che mai avrebbe voluto prendere. "Ho nove dipendenti – le sue parole -, li ho dovuti mettere in cassa integrazione e a qualcuno non è stato confermato il mutuo. Avevano bisogno dello stipendio. Noi vogliamo solo poter lavorare, come abbiamo sempre fatto. Non chiediamo elemosina, questo sia chiaro".
Il titolare del Giglio Rosso non sa se riuscirà mai a riaprire il suo storico ristorante: "Al momento – conclude - non vediamo la luce in fondo al tunnel. Tanto dipenderà da che tipo di aiuti il Governo ci concederà. Ma non nego che io, che sono di solito una persona ottimista, sto perdendo la speranza".
Rossella Conte