REDAZIONE FIRENZE

Chiusura dello stabilimento Bally a Lastra a Signa: 55 licenziamenti nel settore pelletteria

Bally chiude lo stabilimento a Lastra a Signa, licenziando 55 dipendenti. Sindacati chiedono intervento della Regione Toscana.

Bally chiude lo stabilimento a Lastra a Signa, licenziando 55 dipendenti. Sindacati chiedono intervento della Regione Toscana.

Bally chiude lo stabilimento a Lastra a Signa, licenziando 55 dipendenti. Sindacati chiedono intervento della Regione Toscana.

Un altro duro colpo al comparto moda. Chiude lo stabilimento produttivo della griffe svizzera Bally, che si trova a Lastra a Signa. Licenziati tutti i 55 dipendenti. Bally scrive sul suo sito web di essere uno dei marchi di lusso più longevi al mondo, adesso di proprietà di Regent LP, fondo di investimento californiano subentrato a fine agosto. L’acquisizione, secondo le cronache di due mesi fa, arrivò come risposta alle prime avvisaglie di difficoltà per il brand elvetico.

"La chiusura è inaccettabile – sottolinea Mauro Faticanti di Cgil Firenze – siamo al cospetto del primo brand che a fronte della crisi della pelletteria sceglie di scomparire lasciando i dipendenti senza aver usato ammortizzatori sociali". I 55 lavoratori fanno parte di un insediamento produttivo lastrigiano che si trova nel pieno del distretto della pelletteria, in via dei Ceramisti.

"Come Cgil e Filcams – dice Yuri Vigiani di Filcams – chiediamo l’apertura di un tavolo alla unità di crisi della Regione Toscana in cui porremo il ritiro dei licenziamenti e l’utilizzo degli ammortizzatori sociali. Siamo assolutamente contrari a questo tipo di scelte, chiediamo alla Regione di essere al fianco dei lavoratori e delle lavoratrici dichiarando inaccettabili i licenziamenti come strumento per la gestione della crisi nel settore della pelletteria".

Secondo gli analisti il 2025 potrebbe essere peggiore, come andamento del sistema moda, rispetto a questo orribile 2024 che in coda riserva chiusure e vertenze complicate come questa della Bally.

"La salvaguardia della filiera produttiva della pelletteria del territorio – dicono ancora i sindacati – deve essere protetta proprio a partire dalle sue capacità produttive e impiantistiche. Chiudere significa impoverire un territorio in maniera irreversibile. Alle associazioni datoriali, a partire da Confindustria, chiediamo di agire un ruolo di responsabilità e l’apertura di un tavolo per la gestione complessiva delle crisi. Ai principali brand del lusso presenti sul nostro territorio chiediamo esplicitamente di non seguire questa strada". Per Paolo Fantappiè, segretario generale Uil Toscana, "questo colonialismo imprenditoriale deve trovare soluzioni e regole, a partire dalla difesa del lavoro e dei lavoratori". Ancora Marco Conficconi, segretario Generale UILTuCS Toscana: "Siamo di fronte all’ennesimo brand che si permette di lasciare a casa 55 persone senza alcun confronto con le organizzazioni sindacali né utilizzo di ammortizzatori sociali. Questi grandi player internazionali arrivano, fanno profitti enormi e se ne vanno lasciando macerie sociali sul territorio, è inaccettabile".

I prossimi passi? Martedì è prevista l’assemblea dei lavoratori nella quale i sindacati proporranno le iniziative di lotta che saranno condivise da lavoratori e delegati di tutto il distretto della pelletteria.