di Stefano Brogioni
FIRENZE
Cinquant’anni di maltrattamenti: c’è una condanna per l’infinita striscia di angherie perpetrate da un marito ai danni della moglie. L’uomo, che oggi ha 81 anni, è stato condannato dal tribunale in abbreviato a una pena di 2 anni e 4 mesi. Il giudice Maurizio Caivano ha disposto anche una provvisionale di 10mila a favore della donna, 80 anni, parte civile nel procedimento. Le indagini che hanno portato al processo sono cominciate dopo che la donna, che secondo la ricostruzione della procura avrebbe subìto i soprusi del coniuge niente meno che dal 1976, ha trovato il coraggio di denunciare. Tante volte, in passato, ci aveva provato. Ma poi per paura e per il timore di non riuscire a mantenersi da sola, si è sempre rassegnata, chinando la testa.
Eppure, in quella casa nella zona del Ponte alla Vittoria, dove sono cresciute anche le due figlie della coppia prima di sistemarsi ed andare altrove, sono successe cose pesantissime, secondo quanto ricostruito dalla polizia.
"La condanna - spiega il legale della donna, l’avvocato Mattia Alfano - ha un duplice significato. Innanzitutto è un punto di ripartenza per una donna che ha subito per 50 anni un reato gravissimo e che quindi potrà ricominciare a vivere, ma sopratutto è un grido di speranza per tutte quelle donne che pensano che sia ormai troppo tardi per denunciare. La storia della signora dimostra che non è mai troppo tardi per ricominciare a vivere".
Quella voglia di vivere che in passato l’aveva spinta a farsi aiutare da un centro antiviolenza (quattro volte, nel 2003, nel 2010, nel 2016 e anche nel 2019), e anche a chiedere la separazione. Ma tutte le volte non ha poi trovato il coraggio di fare il passo decisivo. Nel corso di un sopralluogo nella casa, le assistenti sociali del Comune di Firenze, alle quali era noto il caso, si resero conto delle condizioni di "sudditanza" rispetto al marito in cui campava la donna.
Proprio davanti alle assistenti sociali, il marito non si era risparmiato le "solite" offese.
Ma quando restavano soli, la situazione era ancora peggiore.
Era arrivato anche a minacciarla di morte, a metterle le mani intorno al collo. A rincorrerla con dei coltelli. "Devi fare quello che voglio io, altrimenti puoi andartene di qui", era solito ripetere. Con il lockdown, la situazione era ulteriormente precipitata. E allora la donna ha trovato davvero il coraggio di denunciare. E’ riuscita anche a registrare con il telefonino la sua "normalità" di ingiurie. Davanti ai poliziotti, è partita dall’inizio, scendendo in fondo al suo inferno. "Alzava le mani e facevo una vita da schiava. Dovevo cucinare e occuparmi delle bambine, inoltre lavoravo presso delle famiglie facevo le pulizie. Se non facevo queste cose mi sbatacchiava, mi prendeva per il collo".
Ora l’incubo finito. Il giudice, prima ancora della condanna al processo di ieri mattina, aveva disposto la misura dell’allontanamento dell’uomo da casa.