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Cinque morti nel cantiere. La rabbia dei parenti delle vittime: "Aspettiamo ancora giustizia"

Simona Mattolini, vedova di Luigi Coclite: "Se ci fossero stati più controlli, mio marito sarebbe vivo. E’ il momento di dire basta, sono passati nove mesi e non c’è nessuno iscritto nel registro degli indagati".

Cinque morti nel cantiere. La rabbia dei parenti delle vittime: "Aspettiamo ancora giustizia"

Simona Mattolini, vedova di Luigi Coclite: "Se ci fossero stati più controlli, mio marito sarebbe vivo. E’ il momento di dire basta, sono passati nove mesi e non c’è nessuno iscritto nel registro degli indagati".

C’è il gesto di solidarietà, con cui la Misericordia e tutta la città di Firenze, prova a medicare una ferita. Ma la strage di via Mariti fa ancora troppo male. Così, la consegna del ricavato - 36mila euro - di una donazione a cui hanno partecipato anche Palazzo Vecchio, l’arcivescovo Gambelli, la comunità islamica, diventa un’occasione di sfogo, per chi nel cantiere Esselunga ha perso un padre o un marito e ancora non intravede giustizia.

"Sono passati quasi nove mesi e ancora non c’è nessun iscritto nel registro degli indagati, probabilmente per paura dei nomi, mi chiedo questa cosa. Io credo che sia il momento di scriverli quei nomi, che le perizie vengano consegnate se non è ancora stato fatto. Direi basta ora, direi che ci dovrebbero fare un regalo di Natale con quei nomi".

E’ durissima, Simona Mattolini, la vedova di Luigi Coclite. Suo marito, l’esperto addetto alla betoniera, è stato il primo delle cinque vittime ad essere estratto da sotto la trave che, crollando, si è tirata dietro i solai. Rabbia perché, laddove ancora gli inquirenti faticano a far luce nella giungla dei contratti, "Luigi era l’unico qualificato e non doveva essere lì, era un fornitore, non faceva parte di tutte quelle ditte che erano in subappalto. Probabilmente se ci fossero stati più controlli da parte dei sindacati, dell’Asl, semplicemente non saremmo qui. Bisognerebbe che chi di dovere iniziasse a fare il proprio dovere".

"Ad oggi noi ancora stiamo aspettando - gli fa eco Rym Toukabri, figlia del tunisino Mohamed Toukabri - abbiamo preso gli avvocati ma stiamo aspettando di capire cosa è successo perché non abbiamo ancora risposte, non sappiamo chi è il colpevole e stiamo ancora aspettando giustizia perché è stato un dolore per tutta la famiglia, ma siamo ancora al punto di partenza". E neanche i legali, finora, hanno potuto toccare con mano i risultati di una consulenza sulla trave voluta dalla procura.

"Presuppongo sia stata depositata perché i termini sono scaduti ed è stata chiesta anche una proroga, comprensibilissima vista la complessità della vicenda, tuttavia siamo in attesa di avere qualcosa, per dare qualche risposta a questi parenti della vittime che ci chiedono continuamente informazioni che noi non riusciamo a dare", dichiara Paola Santantonio, legale della famiglia Coclide. Per via del segreto istruttorio "sappiamo solo che "lo stato del procedimento è ancora a carico di ignoti. È un pò sconfortante".

"La situazione delle indagini - aggiunge Alessandro Taddia, presidente di Taddia Group, associazione che si occupa di risarcimento danni da infortuni sul lavoro, in rappresentanza di Taoufik Haidar, Mohamed El Ferhane e Bouzekri Rahimi - fa sì che ancora il pm non dia l’accesso agli atti perché sta ancora compiendo tutte le procedure che deve ovviamente compiere per cercare quale sia stato l’errore. Il committente sicuramente è stato una parte in causa però bisogna capire quale sia stata l’impresa e chi e cosa hanno commesso, quindi un errore sicuramente c’è stato da parte di chi tentava di costruire questo immobile".

Stefano Brogioni