Il dotto e lo spiccio, l’acqua santa (colta e urbana) e il diavolo che ha in dote però i geni dell’arguzia rurale, facile poi da declinare sulle rive dell’Arno in acume politico. Uno cita il generale de Gaulle e l’altro rammenta Quirino Fiorino detto ’Rinuccio’, amico d’infanzia a Pontorme, scorza empolese.
Lui, una vita con gli occhi ficcati nella carta fa menzione de ’I duellanti’ di Jospeh Conrad, l’altro nel suo libro autobiografico pesca nell’aneddotica e ricorda che quando lo elessero consigliere provinciale del PCI nel 1975 arrivò con l’Ape a Palazzo Medici Riccardi e "il capo garagista, il Pannini, quello con un occhio solo, mi vociò: “Ma dove c... vai?“".
Inevitabile che ai tempi delle poltrone imbottite di Palazzo Vecchio lo storico e saggista Giovanni Pallanti, cattolicissimo vicesindaco in quota scudo crociato e Graziano Cioni, forgiato nelle case del popolo rosso fuoco dei Sessanta, prima babbo della Ztl ("Gli artigiani bloccarono il traffico e li feci portar via tutti..."), quindi senatore e poi inflessibile ’Sceriffo’ della sicurezza fiorentina se ne dicessero di tutti i colori. Tempi analogici, remotissimi, dove il partito era scuola di vita e missione. Anni fatti di schieramenti forti, da combattere o condividere.
"Ma ci dica, lei si sente un po’ il Cioni della Dc?", chiese una volta La Nazione a Pallanti. "Non lo so... fra me e lui ci sono cinquemila libri di differenza", la risposta tranchant. Ma lo Sceriffo era al varco e il giorno dopo, in Consiglio comunale, prese la parola: "Mah, cinquemila libri di differenza non lo so. Ma di sicuro tra di noi ci sono cinque quintali di sapone...".
Quel siparietto, entrato a pieno diritto nella storia, quella caustica e feroce, della politica locale, ha sciolto il ghiaccio ieri mattina, decenni dopo i fatti di cui sopra, al tavolino di un bar di via Orazio Vecchi a Novoli, dove i Nostri si sono ritrovati per un caffè. "Te la ricordi la battuta delle saponette, Graziano?".
Ma da sciogliere, in verità, c’era poco perché due così non sono gente da tiritere e cerimoniali. Un abbraccio tenero e via a chiacchierare con Tea Albini, pasionaria rossa e già parlamentare, l’ex direttore de La Nazione Marcello Mancini e Salvina Di Gangi, appassionata consigliera del Pd al Quartiere 4 e madrina dell’incontro amarcord.
Ecco Pallanti: "Ci siamo colpiti tante volte, ma mai al cuore. Perché in fondo ci si arrabbiava, ma si voleva tutti e due la stessa cosa". "Il bene di Firenze, il bene della gente" fa Graziano che agli acciacchi degli anni e ai dispetti diabolici di quella malattia che lui chiama, con dissacrante sagacia toscana, ’inquilino inglese’, reagisce con gli occhi vispi e la battuta sempre pronta.
E oggi cos’è la politica, ragazzi con i capelli bianchi? Rispondono insieme: "Noi, anche se da mondi diversi, si veniva da una scuola, c’era una formazione vera dietro le nostre idee... Oggi parecchi sembra facciano politica solo per lo stipendio". E poi "troppi portavoce, via". "Noi si rispondeva a telefono subito e se c’era un problema s’andava per la strada... Sai quanti ’vaffa’ mi son preso".
E Firenze? Come sta? Il Pallanti è più svelto: "Senza identità. Il lavoro è affittare le case e basta, l’imprenditoria fiorentina sta nel cambiare le lenzuola...". "La sicurezza – rintuzza il Cioni che un bel giorno vergò nero su bianco in un’ordinanza che i lavavetri, che al tempo definire insistenti era un eufemismo, non erano più graditi ai semafori della città – non si fa con i blitz". Perché "un servono a nulla, solo per farsi fare le fotografie... Ci vuole il controllo fisso della città" (Il paterno rimbrotto sembra l’abbia fatto anche all’attuale assessore alla polizia municipale Andrea Giorgio in cui però lo Sceriffo pare vedere stoffa...).
"Ma lo sai – fa il Pallanti – Io oggi vorrei fare l’assessore in una giunta con te". Graziano sorride, poi sottobraccio alla Tea, amica di sempre, s’incammina verso casa. ’Non è tempo per noi’ cantava Ligabue. O forse, in fondo, del prof e dello Sceriffo, ci sarebbe ancora bisogno?