REDAZIONE FIRENZE

Colpo al sistema criminale. Le mani su ditte e affari da milioni di euro

Maxi operazione della Finanza in sei regioni: raffica di indagati e sequestri. L’organizzazione operava nel sistema di macellazione, logistica e trasporti.

di Pietro Mecarozzi

Macellazione carni, logistica e trasporti. Seicento dipendenti a libro paga. Un giro di affari di milioni di euro. Legami indiretti con clan della camorra. E una ragnatela di società ’apri e chiudi’ che avvolge gran parte della Toscana. Sono tutti ingranaggi del sistema criminale smantellato dall’operazione della Direzione distrettuale antimafia di Firenze, eseguita dai militari dei comandi provinciali della guardia di finanza di Firenze, Modena, del Scico e della polizia di Siena (coadiuvata anche dalle questure di Livorno, Firenze, Pisa e Napoli) in Toscana, Lazio, Emilia-Romagna, Veneto, Campania e Calabria.

Una maxi inchiesta, nata nel 2021, che ha portato a diciassette misure cautelari – sei in carcere, uno ai domiciliari e dieci interdizioni con divieto di ricoprire uffici direttivi di persone giuridiche e imprese – e il sequestro di beni e conti correnti per 30 milioni di euro.

La ’casa madre’ dell’intera faccenda è il consorzio Gruppo Qcs – i cui vertici sono tutti indagati – con sede nella zona industriale di Pontedera. L’azienda e le sue consorziate, sempre riconducibili alle stesse persone, nonostante la stipula di contratti leciti con alcune società operanti nel settore delle carni (con sede a Grosseto, Mugello, Prato, Pistoia, Pontedera e Modena), rappresentavano lo snodo centrale di una catena di fatturazioni fittizie a opera di centinaia di società cartiere, o ’apri e chiudi’, ricollegabili sempre ai solidi membri. E utilizzate all’unico scopo di evadere le imposte e monetizzare i proventi illeciti.

Di quanto di parla? Solo negli anni 2020 e 2021 il consorzio ha ricevuto commesse per circa dieci milioni di euro.

Come eludevano i controlli? Dal consorzio le somme di denaro venivano trasferite alle consorziate e da queste, una parte, ritrasferita a società intermediarie di primo livello (in parte attive, in parte scatole vuote), attraverso l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti. Da queste, sempre attraverso fatture fittizie, il denaro veniva trasferito alle società di secondo livello, le cosiddette cartiere. Da qui la monetizzazione: con prelievi in contanti, ricariche di carte prepagate o bonifici all’estero. Parte del denaro è stato poi riconsegnato attraverso corrieri in Toscana.

Parallelamente al sistema di frode, è emerso anche che le stesse società hanno attuato la cessione e compensazione di crediti inesistenti stimati in circa due milioni di euro. Alcuni di essi erano relativi a costi di "ricerca, sviluppo e innovazione tecnologica 4.0", messi a disposizione dallo Stato italiano, ma mai realmente sostenuti.

A finire dietro le sbarre coloro che secondo gli inquirenti sarebbero al vertice del consorzio criminale: Masi Massimiliano, 43enne di Roma, capo e promotore della frode; Marco Varvato, 47enne campano ma residente a Barberino Tavarnelle, commercialista con studio a Poggibonsi e Torre Annunziata, mente della banda, incaricato di gestire tutte le pratiche fiscali e tributarie; Nunzio Carobene, 46 anni originario della provincia di Napoli e residente a Livorno, coinvolto "in un’indagine per traffico di sostanze stupefacenti in mano a ’ndrine calabresi", si legge negli atti; Giuseppe De Biasio, campano di 41 anni; Salvatore Quagliariello, 64enne di Napoli; Ciro Sermone, 50enne di Napoli, addetto alle fatture per operazioni inesistenti.

I reati a vario titolo riconosciuti dal gip del tribunale di Firenze sono emissione e utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, indebite compensazioni, riciclaggio e associazione per delinquere. Non regge invece l’aggravante contestata da Leopoldo De Gregorio, il pm titolare dell’indagine, dell’aver agevolato i clan camorristici Muzzoni, Luca Bossa e De Micco, attivi nell’area campana di Sessa Aurunca e Ponticelli.

Non sono quindi bastate le dichiarazioni di numerosi pentiti, in particolare sul conto di Masi e Sermone. Con il primo che è stato additato di essere un "fiancheggiatore stipendiato dal clan Esposito". E il secondo che ha versato 500 euro con un bonifico al fratello Umberto, detenuto a Poggioreale, "presumibilmente a beneficio dei compagni di cella che si dicono appartenenti al clan Ponticelli". Per poi successivamente collocare una delle cartiere, il cui capitale era detenuto dalla figlia del fratello, nei palazzi di Ponticelli, la cui gestione "risulta in capo all’omonimo clan".