Caro Direttore, di ritorno da Milano trovo una collezioncina di giornali che si occupano, in vario tono, di me a proposito della mia idea di una Galleria da aprirsi in Piazza del Duomo. Da quel sereno uomo che sono, di ottima salute e contento di vivere, non accadrà mai ch’io mi faccia il sangue cattivo sulla malignità di Tizio o sulla insufficienza mentale di Caio. Disegno alla buona, e voglio anche rispondere alla buona. Quel certo accanimento che si è dimostrato contro di me per avere lanciata un’idea (che d’altronde non pensavo, nè penso, di imporre a viva forza a nessuno) non è genere nuovo negli annali della storia dell’arte. E’ sempre successo da che mondo è mondo. E rifare il mondo è un tantino più difficile che fare una Galleria. (Benchè, a dirla fra noi, lo, anche per quello, un progettuccio ce l’avrei...). Dunque, parliamo della Galleria e del rispetto che si deve agli altri monumenti della piazza del Duomo.
Pigliamo piazza della Signoria, come esempio. Una volta, prima che ci fosse quel lo che c’è, probabilmente non c’era nulla. Venne Arnolfo e ci piantò Palazzo Vecchio. Dopo circa un secolo eccoti l’Orcagna a fare la Loggia, e nessuno si sognò mai di dire che egli avesse offeso Arnolfo perchè nel fare la propria opera non aveva ricopiato lui. Passò altro tempo, ed ecco il Vasari a metter su un proprio criterio e un proprio stile, nè alcuno pensò, che si sappia, di accusarlo d’in- sulto verso l’Orcagna o verso Arnolfo. Passano altri anni e l’Ammannati, proprio al piedi della scalinata di Palazzo Vecchio, fa la sua brava fontana, mentre Raffaello eleva da un’altra parte il Palazzo Uguccioni. Non è proprio questa, detta tra amici, alla buana, la storia di Piazza della Si- gnoria, che è pure una piazza, dove i forestieri (i fiorentini no perchè ci han fatto l’abitudine) rimangono a bocca aperta e a naso all’insù? I contemporanei son sempre stati trattati di sottogamba, e soltanto nella necrologia un cristiano incomincia a riscuotere, in fama, un po’ del frutto delle sue fatiche. D’altronde, si ammetterà che se si trattsva di grandi artisti, c’era pur sempre una certa graduatoria. E se il mi- nore fosse rimasto in continua assoluta soggezione del maggiore, cosa sarebbe successo? Avremmo avuto probabilmente una Piazza Signoria assai meno bella di quella che è. Io non dico di essere parente, nemmeno alla lontana, dei nomi che ho ricordato. Ad essi mi sento però unito da un vincolo sicuro: dall’amore per questa mia città e dall’amore per questa mia arte che servo da quarant’anni con umiltà e con passione. E sotto questo aspetto mi pare di potermi mettere, sì, fra gli eredi dei grandi che hanno fatto grande e bella Firenze.
Però, se ci sono del parenti più prossimi, si facciano pure avanti. Ma tutto ciò ha poca importanza. I fiorentini hanno così tanto buonsenso che sanno anche non lasciarsi accalappiare dalle nostalgiche strimpellate degli eterni evocatori di spiriti trapassati. Anche in arte v’è una sorta di spiritismo, che se non va avanti a furia di tavolini giranti poco ci manca. Io non appartengo alla congrega. E gli spiriti del maestri li evoco e li venero a modo mio. Con tutto il rispetto per i morti, ma che davvero s’ha da lasciar dire, ai visitatori di Firenze del 2000: nel Novecento che cosa fecero di bello gli architetti? Erano tutti riparatori di roba vecchia? Si è detto, a proposito della mia idea e degli schizzi con i quali l’accompagnai, che l’interno della Galleria era forse, in origine, uno schizzo per il salone di un transatlantico. Raccolgo il sottile spirito, e come arguto della osservazione, è vero: lo faccio anche l’interno del transatlantico. Non me ne vergogno.
Me ne glorio, anzi, perchè se ne gloria l’Italia che, nei più lontani porti del mondo, è anche ammirata un poco per questa mia modesta fatica. Basterebbe dare un’occhiata alle proporzioni di quell’interno per accorgersi, del resto, quanto ne corra fra esso e un salone di transatlantico. Prendere lucciole per lanterne, tiriamo via. Ma prendere lanterne per lucciole è un po’ forte. Si è detto che la piazza è inguaribilmente ammalata di miseria di spazio. Scusi del molto spazio che Le ho preso, ma nella mia qualità di imputato ne avevo un poco il diritto.