Firenze, 6 maggio 2020 - Testare, tracciare e trattare: è l'unico sistema che ci può consentire di convivere con il coronavirus senza tornare a zone rosse e lockdown. Il virus circola e non ha perso forza. Restando in casa si è riusciti ad abbassarne il tasso di riproduzione: la potenziale trasmissibilità in Toscana è allo 0,8. Significa che una persona positiva, a oggi, è in grado di infettarne meno di una, che è il limite di tolleranza oltre il quale si dovrebbe tornare a chiudere, per evitare che il contagio ricominci a galoppare, come spiega Fabio Voller, coordinatore dell'Osservatorio di epidemiologia dell'Agenzia regionale di sanità della Toscana.
Tra i vari indici che ciascuna regione dovrà monitorare e comunicare settimanalmente al livello nazionale c'è il tasso di occupazione delle terapie intensive che dovrà restare inferiore al 30%, così come al di sotto del 40% deve rimanere quello dei ricoveri in area medica, con una riduzione almeno dell'80% degli accessi per Covid in pronto soccorso, mentre il coefficiente di crescita dei casi di coronavirus dovrà essere più basso di 1.
Regole ferree anche per le Rsa. Un monitoraggio dovrà valutare la situazione: nel 70% delle strutture non si dovranno verificare criticità. Tutto questo sarà valutato insieme alla qualità della casistica dei nuovi positivi che dovranno restare casi isolati e non riconducibili a nuovi focolai. Altrimenti scatta l'allerta rosso. E il governo potrà richiedere alla Regione di rivedere le misure di contrasto intraprese. Ora siamo al top del trend in diminuzione, ma cosa succederà nelle prossime settimane, adesso che circa mezzo milione di toscani (su un milione e 600mila lavoratori complessivi) ha ripreso la sua occupazione?
Nessuno può dirlo con certezza. Ciò che si può, anzi, si deve fare è impedire un'inversione di tendenza, come spiega il direttore della Prevenzione dell'Asl Toscana centro, Renzo Berti. Il sistema delle "3 T", testare, tracciare e trattare resta il cardine dell'operazione di contrasto alla diffusione del Covid. Si devono potenziare i dipartimenti di Prevenzione delle Asl: l’obiettivo è individuare prima possibile i casi positivi per isolarli, con la rete dei loro contatti stretti da mettere sotto sorveglianza. Ma questo è il punto due. Il testing deve permettere di trovare chi, senza sintomi, ha il coronavirus e può trasmetterlo.
Test sierologici Dunque, prima di tutto i test sierologici, attualmente somministrati a scopo di screening e non diagnostico: la Toscana ha intenzione di estendere l'esame a 500mila persone. Dovranno farlo nei laboratori convenzionati che hanno aderito al progetto regionale. Ora è in corso la valutazione di circa 250mila lavoratori appartenenti alle categorie che non hanno sospeso l'attività durante il lockdown (i positivi ondeggiano sul crinale del 2,5%), dopo aver concluso la prima mappatura del personale sanitario (51.500 persone, con esito positivo del test sierologico del 2,2% confermato dal tampone nell’1,1% dei casi) ed essere in via di completamento (entro l'8 maggio) con quella delle Rsa, dove tra gli ospiti si è scesi al 5% da un iniziale tasso di positività al tampone del 9%.
Al momento il test rapido rivela la presenza di immunoglobuline M che compaiono più precocemente e indicano un’infezione in corso, e immunoglobuline G che compaiono più tardivamente e permangono più a lungo indicando che il sistema immunitario ha sviluppato le difese contro il virus. Ma al laboratorio di Microbiologia e virologia di Careggi, guidato dal professor Gian Maria Rossolini, è ormai completato lo studio di validazione del test immunometrico più preciso, che dà ulteriori informazioni (oltre alle IgM e alle IgG, misura anche le IgA) rispetto agli attuali test rapidi nei quali è stata notata una scarsa sensibilità sulle IgM: l'esame adesso dà spesso risultati falsi positivi.
A cosa serve il test sierologico? I risultati forniscono due dati fondamentali per la tutela della salute pubblica. Il primo: al momento della conferma del tampone, fanno emergere una quota di attualmente positivi al virus che, diversamente, sarebbe stato difficile trovare nella popolazione asintomatica. Questi devono essere isolati, insieme ai loro contatti stretti, per impedire la diffusione del contagio. Il secondo: il test dice chi è venuto in contatto con il virus e ha sviluppato anticorpi. Nonostante non si sappia ancora se e per quanto tempo siano protettivi, serve per misurare la diffusione del virus.
Al momento in cui si riceve il risultato del test sierologico, chi risulta positivo o dubbio dovrà mettersi in autoisolamento fino al momento in cui sarà effettuato il tampone di verifica. Una delle criticità emerse: in attesa del tampone le persone non possono essere certificate ai fini Inps, dunque servono tempi rapidi di esecuzione. Ora c’è un ingorgo di persone in attesa. La formula per chi effettua il test è questa: l’istituto al quale ci si rivolge fornisce il numero verde della Regione che indirizza al punto di ’drive thru’ - che permette di effettuare il tampone in auto - più vicino da raggiungere.
I tamponi Il decreto del presidente del consiglio dei ministri del 30 aprile detta i tempi: meno di 5 giorni tra la comparsa dei sintomi e il prelievo, meno di tre giorni per l’isolamento del sospetto. A chi si fa il tampone? A tutte le persone con sintomi simil influenzali e per certificare la guarigione (ne servono due negativi consecutivi). Il medico di famiglia (che con accesso alla piattaforma può verificare i referti degli assistiti) con ricetta elettronica deve richiederlo per i propri pazienti, con i codici T0 (se si tratta di un’indagine diagnostica), T1 e T2 (se si tratta di attestazioni di guarigione).
Chi effettua il prelievo e dove? A domicilio intervengono il personale della Prevenzione Asl, le unità speciali di continuità assistenziale (squadre con medico e infermiere) e le associazioni di volontariato che pure hanno organizzato a macchia di leopardo, su tutto il territorio, postazioni mobili per il ’drive thru'.
Basterà? In attesa che il sistema possa ulteriormente implementare il numero di tamponi che quotidianamente si riescono a a processare, si sta ipotizzando di allargare la fascia di popolazione da sottoporre a test molecolare. A chi? Ai familiari e ai contatti stretti dei positivi che non hanno accettato l’isolamento nell’albergo sanitario (si sta pensando anche a istituirne l’obbligo), e nelle varie comunità religiose, terapeutiche, di trattamento (l’esperienza ha già insegnato, come nelle Rsa, che sono luoghi a maggior rischio di diffusione).
Trattamento Il sistema sanitario pubblico è chiamato a una seconda prova di forza. Dopo aver superato l’onda d’urto dell’iperafflusso di pazienti Covid in ospedale, senza andare in tilt grazie a una rete riplasmata in tempi record, la fase 2 richiede una riorganizzazione capillare della medicina territoriale (dal medico di famiglia all’igiene pubblica) in modo tale che sia in grado di scoprire rapidamente i casi positivi isolandoli con i loro contatti nel più breve tempo possibile. E' necessario rimodulare l'assetto anche per il trattamento, il terzo e fondamentale punto delle "3T", ora che il 70% dei pazienti positivi viene curato a casa e non in ospedale.