di Stefano Brogioni
FIRENZE
Chiusa, o quasi, la partita per il fallimento della Verdi srl, la società che ha portato avanti, negli ultimi anni di vita, il marchio di abbigliamento Rifle. Sandro Fratini e il figlio Giulio, hanno trovato un accordo transattivo con la curatela del procedimento e pure la quadra per il patteggiamento. Rispettivamente un anno e undici mesi e un anno e dieci mesi, concordati con il sostituto procuratore Christine Von Borries, davanti al giudice Angelo Antonio Pezzuti.
Si torna in aula il prossimo due maggio, ma soltanto per le formalità e per definire le posizioni di altri tredici imputati. Tra questi, c’è chi ha scelto la medesima strada del concordato, o chi il giudizio in abbreviato.
"I signori Fratini, pur essendo convinti della correttezza del loro operato, hanno ritenuto opportuno chiudere questa vicenda processuale con un accordo transattivo con la curatela, per evitare ulteriori strascichi processuali", dichiarano i loro difensori, gli avvocati Nino e Michele D’Avirro.
Insomma, cala il sipario su una storia che è costata tanto, non solo economicamente, alla famiglia fondatrice dello storico marchio del jeans, con sede a Barberino del Mugello.
Il fallimento, sancito dal tribunale nel settembre del 2020, è l’inattesa fine di una storia iniziata negli anni ’50, quando Giulio Fratini, il babbo di Sandro, partì a cercare fortuna in America.
Era l’Italia affamata dell’immediato dopoguerra, Fratini s’imbarcò sulla nave Queen Elizabeth, con un biglietto di terza classe. Pochi soldi in tasca, ma tante idee. Una, soprattutto: portare il denim in Italia. Aveva scoperto un paio di jeans per caso, finito per combinazione tra le balle piene di divise dei soldati che i Fratini acquistavano per ricondizionare.
Rifle e Fratini sono stati un binomio vincente per decenni. Poi la famiglia ha differenziato il proprio business. All’abbigliamento si sono aggiunte altre attività, che hanno finito per prendere il posto. Così, nel 2017, un fondo svizzero si prese il brand. La testa pensante dell’azienda rimase a Barberino, una condizione che i Fratini ritennero fondamentale per la salvaguardia dei dipendenti.
Ma non tutte le favole hanno un lieto fine. La “Verdi“ fallisce nel settembre 2020, due anni e mezzo dopo i Fratini, assieme ad amministratori e sindaci revisori, ricevono l’avviso di conclusione delle indagini in cui vengono accusati di aver contribuito al dissesto.