Un racconto per immagini che documenta lo stupefacente restauro del Crocifisso di Cimabue, dai più ritenuto impossibile dopo l’oltraggio dell’alluvione che nel 1966 ne aveva danneggiato il 70% della superficie. È questo il "prezioso dono" che il fotografo Paolo Mariani e Maria Grazia Seroni (moglie ed erede del fotografo Francesco Chimenti) hanno fatto all’Opera di Santa Croce, consegnando alla presidente Cristina Acidini 589 diapositive che documentano l’intervento di recupero condotto dall’Opificio delle Pietre Dure sull’opera che Paolo VI, nella sua visita a Firenze del Natale del ‘66, definì la vittima più illustre dell’alluvione. Acidini ha espresso "profonda gratitudine" per la "generosa donazione". Le diapositive, che sono state prodotte tra il 1966 e il 1976 mentre il Cristo veniva curato e riportato in vita nel laboratorio della Fortezza da Basso, adesso saranno digitalizzate, con un progetto a cura di Eleonora Mazzocchi, conservatrice dell’Opera, e saranno messe a disposizione della comunità scientifica. Lo scopo della donazione, come spiega Mariani, è stato proprio quello "di conservarle e renderle fruibili anche per il futuro". Il Cristo ritrovato è il simbolo del riscatto e della rinascita di Firenze dopo la tragedia dell’alluvione. Il suo recupero è stato realizzato con la guida di Umberto Baldini, direttore del Laboratorio di restauro, e il contributo di tanti esperti. Le 589 diapositive illustrano le fasi dell’intervento: il lento processo di asciugatura del legno nella Limonaia di Palazzo Pitti, il trasferimento alla Fortezza da Basso, le delicatissime procedure di separazione del colore "scollando" per effetto dell’umidità ogni strato che costituiva l’opera e procedendo al restauro delle singole parti. Poi il processo di ricomposizione, utilizzando anche la fibra di vetro per assicurare l’insieme.
CronacaCrocifisso di Cimabue. Il restauro in 589 scatti