
Anno 1979, stadio Comunale. Oltre 80mila persone per assistere al concerto, davanti al palco di Patti Smith.
di Benedetto Ferrara
1983. Interno notte. Discoteca fiorentina in borgo degli Albizi. Il rock dj spacca le casse con ’Lust for life’ di Iggy Pop. Tu balli con la grazia di un cammello ubriaco. Lei si muove leggera agitando i capelli biondi. Provi a proseguire un discorso iniziato davanti a un gin tonic. "E come ti chiami di cognome?". "What?". Riprovi con la tua pronuncia da sei meno meno. "What’s your surname?", "… Colgate". Fai il simpatico (si fa per dire). "Ah, come il mio dentifricio"… Lei traduce per compassione. "Yes, è di mio nonno". Il gin tonic sale. Ti verrebbe fuori una parola di cinque lettere che non si può dire. Quindi ti limiti a tre: "Wow". E torni a ballare come un cammello ubriaco.
Perché ognuno di noi ha la sua America in memoria. Anche quella di istanti precendenti al tuo primo viaggio negli States. Noi sogniamo loro, loro sognano noi. Loro musica, cinema, Nba, peace and love, guerre e sangue a volontà. Noi arte, cultura, storia e panini al lampredotto. E ci incontriamo da sempre, ci sfidiamo, invidiamo. Noi immaginiamo un coast to coast sulla Route 66, loro un coast to coast molto più breve dalla coda davanti agli Uffizi a quella davanti all’Antico Vinaio. Che siano turisti da un gelato e via o lussuosi abitanti del Four Seasons o dell’Excelsior per noi sono cash flow da sempre. Ma la contaminazione è roba forte. Noi e l’amata e odiata America.
1979, stadio Comunale. 80mila persone davanti al palco di Patti Smith. Lei fa issare la bandiera stars&stripes alle sue spalle. E’ una provocazione autoironica. Ma chi la capisce? Il pubblico fischia. Può accadere di tutto. Roano, che di mestiere fa l’elettricista, viene spedito a salire lassù per togliere quella bandiera. The show must go on. Amata e odiata America. Ma poi, diciamocelo, America in che senso? Quella on the road di Easy Rider e dei chopper di Dennis Hopper e Peter e Fonda che volano sulla highway col motore che urla ’Born to be Wild’? La California dei surfisti di Venice Beach? La east coast di Woodstock visto e rivisto all’Universale, o la New York poeticamente tossica raccontata da Lou Reed? Oppure l’umidità perpetua e feroce del Texas descritta nei romanzi Joe R. Lansdale, i capannoni industriali di Detroit, la Seattle disperata di Kurt Cobain, la Manhattan innamorata di Woody Allen o il New Jersey cantato sotto la pioggia al Franchi di Bruce Springsteen?
Mah. Domanda: ma se tagliano il consolato sui lungarni, anche il caffè americano subirà tagli irreversibili diventando più potabile? In ogni caso tra artisti con Villa in collina e famiglie XL stremate dalla fatica sulla stradine della capitale mondiale del "continueremo a frequentarci a modo nostro".
Primi anni ’90. Amichevole della Fiorentina negli Usa. Hotel di Manhattan, interno giorno. Entri in ascensore e trovi Flachi e Banchelli provvisti di telecamera. "Che giro fate?". Flachi: "Boh, New York è grande". Silenzio. Banchelli: "Beh, anche Montelupo…". Oh Yeah.