Fabrizio Morviducci
Cronaca

Dalla parte dei disabili Il dopo-virus è un rebus

I centri diurni si attrezzano per mettere in sicurezza utenti e personale La riapertura avverrà in maniera graduale fra il 18 e il 31 maggio

Il coronavirus ha colpito i più fragili. A subirne le conseguenze in particolare i disabili che hanno perso fette di autonomia e assistenza. Ma come si riparte? Lo abbiamo chiesto a Patrizia Frilli, presidente del Cui, ma soprattutto oltre trent’anni di esperienza nei servizi di assistenza e tutela delle disabilità.

"Non sarà una passeggiata. I centri diurni non avranno le stesse caratteristiche che avevano prima. Dovranno attrezzarsi per mettere tutti in sicurezza utenti e personale. Con alcuni utenti l’impresa sarà difficile poiché alcuni disabili non tollereranno le mascherine ed il distanziamento fra persone. Le presenze ai centri saranno ridotte a piccoli gruppi con turnazioni sia nel mattino che neI pomeriggio".

In più il grande problema dei trasporti, "Penso – ha aggiunto Patrizia Frilli – ai mezzi di Misericordia, Humanitas, Croce Rossa e Auser che dovranno rivedere le loro caratteristiche dal distanziamento sociale dei trasportati alla sanificazione dei mezzi".

Ma quali saranno le modalità a Scandicci?

"La Regione ci ha dato una mano; avevamo scritto come fondazione Dipoi che raccoglie 40 associazioni attive nel settore e abbiamo avuto una risposta. La delibera di indirizzo sulle modalità di riapertura dei centri diurni che stabilisce le regole rispetto al rischio di contagio del coronavirus. La riapertura avverrà dal 18 al 31 maggio gradatamente e sono previste risorse aggiuntive per le spese di adozione dei protocolli di sicurezza. Tutto non sarà come prima, ma può anche darsi che l’aspetto negativo portato da questo virus ci porti a rivedere la progettazione di attività dei centri diurni. Penso ad un numero ridotto delle presenze ad attività diversificate; a gruppi più omogenei, alla organizzazione di uscite sul territorio e ricerca di spazi all’aperto".

La chiusura arriva in un momento di complessità per le famiglie.

"Alcuni familiari dei disabili sono stati contattati dai servizi del territorio per capire se avessero bisogno di aiuto. Anche io personalmente ho telefonato ad alcuni soci del Cui, ma ho capito che molti si erano organizzati . Anche per quanto riguarda l’assistenza al domicilio, non tutti erano così disponibili a far entrare in casa una persona estranea, nonostante le difficoltà con il figlio. Alcuni centri hanno organizzato degli incontri sui social con chiamate video alle famiglie e ai ragazzi stessi. Ora però tutti sono arrivati al limite; la reclusione comincia a dare seri segnali agli equilibri familiari".

Come state pensando alla nuova programmazione?

"Siamo per i piccoli numeri. Non a caso abbiamo creato la comunità alloggio protetta per una decina di disabili a Badia a Settimo (Casa Humanitas) che, per tutta l’emergenzaha dato e sta dando risposta ad otto disabili che vi risiedono. Vorremmo strutture con la stessa attenzione".