VichiDa una prozia che conoscevo appena avevo ereditato una casa in una città dove non avrei mai abitato, e decisi di venderla. La affidai a un’agenzia e in poco tempo trovai un acquirente convinto che abitava all’estero, e comprava per investimento. In quella città non aveva un notaio di fiducia, e mi chiese il favore di occuparmene. Volentieri, dissi. Un mio amico aveva una cugina che viveva in quella città, e le chiese di suggerirmi un notaio al quale potevo rivolgermi. Parlai con il notaio al telefono, e la sua voce mi piacque. Mandai avanti la pratica a distanza, via mail e con le firme digitali, e il giorno del rogito mi presentai dal notaio. Mi ricevette in un ufficio in cui si respirava una piacevole atmosfera antica, e mi strinse la mano alzandosi e sporgendosi sopra la sua bella scrivania ricolma di preziosi oggetti di altri tempi. Era un uomo elegante, anche lui aveva l’aria di un uomo di altri tempi, anche se doveva avere più o meno cinquant’anni. Scambiammo due parole in attesa dell’acquirente, che arrivo con qualche minuto di ritardo. Era piuttosto simpatico. Quando fummo pronti, il notaio cominciò a leggere l’atto di compravendita a voce alta, con voce ferma e in un italiano perfetto. Ogni tanto alzava gli occhi e ci guardava, per essere sicuro che tutto fosse corretto, soprattutto i nostri dati anagrafici e i dati catastali della casa. Poi firmammo. L’acquirente mi passò l’assegno circolare e pagò il notaio con un assegno di conto corrente. Ci alzammo tutti e tre e ci stringemmo la mano. Me ne andai insieme all’acquirente, lasciando il notaio dietro alla sua bella scrivania. In ascensore scambiammo due parole, davanti al portone ci stringiamo la mano un’ultima volta e ognuno per la propria strada, lui con la casa e io con l’assegno. Tutto normale, tutto regolare. Piovigginava, purtroppo.
Mi infilai in un bar per bere un caffè e mi sedetti al tavolino, volevo prendermela comoda. Il treno partiva a fine pomeriggio, mi ero tenuto un po’ di tempo per fare due passi in quella città che conoscevo poco. Speravo che uscisse il sole, anche se per il momento le nuvole coprivano il cielo. Stavo bevendo il caffè quando vidi entrare il notaio, elegante, lo sguardo consapevole, con la cartella in pelle che dondolava all’altezza delle ginocchia, e quando abbassai lo sguardo per guardare le sue scarpe, mi accorsi che… era a piedi nudi. Si avvicinò al banco e ordinò un caffè, mentre io lo seguivo con lo sguardo, a bocca aperta.
Rispetto a tutti gli altri, che portavano le scarpe, la differenza in fondo era piccola, semplicemente non aveva le scarpe, ma chi aveva mai visto una cosa del genere? E soprattutto, non era una persona disagiata, ma un notaio… e non uno qualunque, era il notaio che si era occupato di un contratto di vendita che avevo appena firmato. Per un attimo pensai addirittura che non fosse un notaio, tanto era forte la suggestione di quei piedi nudi sul pavimento sporco di fanghiglia e di segatura.
Non tutti nel bar facevano caso a quei piedi nudi, e chi se ne accorgeva sorrideva. Il notaio prese la tazzina e si guardò intorno per carcare un tavolo, ma erano tutti occupati. Alzai una mano per attirare la sua attenzione e lo invitai a sedersi con me. Lui mi sorrise e mi venne incontro, appoggiò la tazzina sul tavolo, mise la borsa su una sedia vuota e si sedette davanti a me.
"Una bella città, Firenze…" disse. "Dipende" dissi. "Ci sono stato spesso, in passato, anche se ormai sono diversi anni che non ci vado… Davvero una bellissima città" disse di nuovo. "Un po’ troppi turisti" dissi. "Eh già, la bellezza può essere un problema, anche per una donna" disse il notaio, sorridendo. "In effetti…" mormorai, incapace di intavolare un discorso.
Ero troppo distratto da quei piedi nudi, che mi sforzavo di non guardare. Lui finì il caffè e con un leggero sospiro appoggiò la tazzina sul tavolo, mi guardò accennando un sorriso di saluto. "Le auguro una buona giornata" disse, alzandosi e prendendo la sua borsa. Non potevo lasciarlo andare via senza fargli una domanda… Quella, domanda. "Mi scusi, vorrei chiederle una cosa… Libero di non rispondermi, ovviamente. "Prego" disse lui. "Ecco, come mai lei… Sì insomma… Perché non porta le scarpe?" "Ah, non me n’ero accorto" disse lui, guardandosi i piedi e muovendo le dita, ma subito sorrise. "Scherzo… Anche se ormai non ci faccio più caso. Be’, se ha cinque minuti le racconto una storia." "Certo" dissi, curiosissimo.
1-continua