Firenze, 16 aprile 2024 – "In qualunque circostanza muoia un figlio mancano le parole, il dolore supera ogni espressione. Il racconto dei genitori di Mattia presenti insieme ai suoi cari al campo di calcio durante la partita di campionato dell'Eccellenza toscana lascia il segno. Non sta certo a me definire tempi e modalità di soccorso, ma constatare che il defibrillatore era presente a bordo campo, e che il suo utilizzo avrebbe potuto, forse, salvare Mattia Giani, ragazzo di 26 anni, questo sì. Quanto accaduto in Toscana è ancora più grave se si pensa che la nostra Regione, infatti, è stata precursora rispetto al resto d'Italia sulla presenza di questo strumento salvavita negli impianti sportivi, pena la chiusura degli stessi”.
Se si parla di defibrillatori e impianti sportivi il parere di Stefano Scaramelli, vicepresidente del Consiglio Regionale della Toscana è assolutamente qualificato. Ricorda infatti: “La legge regionale che ho avuto l’onere e l’onore di portare avanti da Presidente della Commissione Sanità nel 2015 prevedeva la dotazione obbligatoria dei defibrillatori, introduceva sanzioni, e attraverso il Regolamento del 2016 oltre la collocazione imponeva la presenza di esecutori formati BLS-D. Ero presidente di Commissione Sanità quando scrivemmo l’impianto normativo, mettemmo in evidenza che le regole dovevano valere per tutti gli sport, a prescindere dal tipo di competizione sportiva. Con quel Regolamento di attuazione della legge regionale 9 ottobre 2015, n. 68 (Disposizioni per la diffusione dei defibrillatori semiautomatici esterni nell'ambito della pratica fisica e sportiva) normammo anche lo svolgimento delle attività sportive”.
Da qui le considerazioni sulla morte del giovane calciatore di Ponte a Egola: “Ho aspettato a scrivere, ho pensato e ripensato a quanto è successo, ho letto ricostruzioni e prese di posizione. Memore di quel lavoro fatto otto anni fa, per provare a salvare vite, credo sia corretto fare luce su quanto successo. Serve prima di tutto portare rispetto alla morte di un ragazzo. Un giovane che amava il calcio e lo sport. Leggere le parole di babbo Sandro mi colpisce profondamente. Mi addolora. Mattia non è stato salvato. Poteva salvarsi. La legge e il regolamento regionale non sono bastati, la legge nazionale arrivata molti anni dopo non è bastata. Serviva applicarla. Serviva vigilare. Dobbiamo fare di più come società. Se dal punto di vista normativo sono stati fatti passi in avanti, adesso è il momento di fare uno scatto collettivo. Fa ben sperare la maturità dei 25mila spettatori di Udine che nello stesso giorno applaudono all’interruzione di Udinese Roma per un fatto similare. Ma serve uno scatto culturale, una sensibilità e una attenzione collettiva. Lo dobbiamo a Mattia, ai suoi cari e a chiunque ogni giorno svolge attività negli impianti sportivi”.