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Dieci anni fa se ne andava Vigna "Il suo ricordo resta indelebile"

Dalla lotta al terrorismo alle stragi di mafia: la vita e l’ascesa del magistrato che ha segnato un’epoca

FIRENZE

Dieci anni or sono, era il 28 settembre del 2012, se ne andava, all’età di 79 anni, il magistrato Piero Luigi Vigna.

"Seppur breve, aver collaborato con lui da vicesindaco, è stata un’esperienza indimenticabile, segnata dallo straordinario valore umano e professionale di questa indimenticabile professionalità", il tweet del sindaco di Firenze Dario Nardella. Che rimanda con la mente a quell’autunno di due lustri addietro, quando la notizia, inaspettata come lo è la morte, colpì al città che lo aveva reso grande e che lui aveva contributo a tenere ordinata.

Prima pm, poi procuratore capo. Infine, procuratore nazionale antimafia.

Riassumere in poche righe una vita dedicata alla giustizia è impossibile. Proviamo a farlo attraverso le sue parole, di una vecchia intervista rilasciata alla Nazione, il giornale a cui lui, nato a Borgo San Lorenzo, era più affezionato. Dalle indagini post alluvione, passando per la stagione dei sequestri di persona, del terrorismo rosso e nero, fino all’attentato della mafia ai Georgofili. In mezzo, il caso che l’ha fatto conoscere in tutto il mondo: la caccia al mostro di Firenze.

La bomba del ’93. Ci raccontò: "Arrivai sul posto dopo pochi minuti. La nostra speranza, pur nel dolore per la morte, era che fosse stata una fuga di gas". L’ipotesi che lui per primo contribuì ad escludere: "Perché scavando di fronte all’ingresso dei Georgofili, i Vigili del Fuoco trovarono un cratere che dava l’idea dell’esplosione. Poi, entrando dentro l’edificio, trovammo un motore d’auto e prendemmo il numero di serie. Nonostante fosse notte, la Fiat nel giro di due ore ci fece sapere che apparteneva a un Fiorino rubato a Firenze. Non c’erano più dubbi".

"Li prenderemo". Era quasi il suo grido di battaglia. Lo disse anche al Presidente del Consiglio Ciampi, che dopo quel terribile attentato, piombò a Firenze.Lo ripeteva anche ai giornalisti, che incontrava quasi quotidianamente.

La caccia al mostro fu un’altalena di dolori: i corpi di giovani straziati, le piste investigative andate a vuoto, fino all’identificazione di Pacciani prima, e dei compagni di merende poi. Da lì, il grande salto a Roma. Era scampato almeno un paio di volte alla morte. Agguati tesi da sinistra e da destra.

Marco Donat Cattin e Pierluigi Concutelli glielo confessarono candidamente, quando se li era trovati di fronte per interrogarli. Ma a chi gli chiedeva se temesse per la sua vita, rispondeva citando l’amico Giovanni Falcone. "Chi ha paura muore tutti i giorni, chi non ha paura, muore una volta sola".

stefano brogioni