Palazzuolo sul Senio (Firenze), 27 marzo 2025 – È rimasta sepolta per più di mezzo secolo lassù, in Appennino, lontano dagli occhi e da quella Firenze che la volle lontana dal suo ’cortile’. Poi, d’improvviso, una frana l’ha riportata alla luce: la montagna ha servito fredda la sua vendetta, rigurgitando quella discarica di rifiuti urbani del1971 nemmeno censita negli elenchi ufficiali.
Una discarica fantasma, nel Comune di Palazzuolo sul Senio, che l’alluvione di metà marzo in Toscana ha trasformato ora in incubo: dal sottosuolo quintali di rifiuti sono crollati fin dentro ilrio Rovigo che, 12 chilometri più a valle si butta nel Santerno, poi nel Reno verso il mare. Rifiuti che sarebbero già a Valsalva (Castel del Rio, Emilia-Romagna) nonostante le reti piazzate in alveo per contenere la discesa. E in Regione Emilia-Romagna ci si prepara alla battaglia, con la capogruppo FdI Marta Evangelisti che chiede risposte alla giunta. La magistratura fiorentina aspetta l’informativa dei Forestali per aprire un’inchiesta in odore di risvolti penali: dagli anni ’70 a oggi la sensibilità – e la normativa – è radicalmente cambiata in materia ambientale e il ’caso Rovigo’ riserva più di un imbarazzo.

Comuni, Regione e Arpat, pare che nessuno sapesse della sua esistenza: o meglio, i cittadini, quelli che la montagna la vivono dalla culla, la ricordavano bene, mentre l’Italietta anni ’70 ha consegnato a un Appennino da cartolina un sito che nessuno monitora da decenni. Ne sa qualcosa il sindaco di Palazzuolo Marco Bottino che, all’indomani del disastro ambientale, ha scartabellato ogni faldone degli archivi comunali alla ricerca di conferme.
«Non abbiamo trovato accordi scritti, protocolli o delibere – racconta – solo qualche ricevuta. Ad aver fatto l’accordo a Firenze (con Asnu, l’allora municipalizzata, ndr) non fu il sindaco, ma il commissario prefettizio». Eccoli qui, i 30 denari: per accollarsi il pattume di Firenze, Palazzuolo fu pagato con quattro milioni e mezzo di lire, un autocompattatore e due altri mezzi, più un canone annuo perla durata d’uso della discarica. Durò poco, quell’accordo, soffocato dalle proteste di residenti e lavoratori che occuparono i municipi di Palazzuolo e Firenzuola. Ma non abbastanza per impedire che decine di camion scaricassero, direttamente dal ciglio della strada, tonnellate di rifiuti (300 al giorno) nella scarpata, poi coperta con terra.
Niente teli o raccolta del percolato: nel ’71 in discarica finiva di tutto e oggi affiorano anche sacche trasfusionali. L’ex sindaco Pci di Imola, Veraldo Vespignani, nel ’71 portò il caso in Parlamento, parlando di quattro discariche simili in zona. Oggi la sua lotta è incarnata da 18 associazioni – capitanate dal Cai di Imola, dalla Misericordia e dalla Pro Loco – che chiedono una «intervento urgente e coordinato», mettendosi a disposizione come braccia per raccogliere quell’immondizia. L’Arpat è convinta: quei resti di plastica, metalli, vestiti e rifiuti «organici biodegradati e mineralizzati» non sarebbero «in grado di produrre contaminazioni significative». Resta, però, il risvolto sull’habitat e l’impossibilità di pulire la zona in altro modo se non a mano, con l’ausilio di elicotteri.