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Don Lorenzo Milani
Calenzano (Firenze), 26 giugno 2023 – È dura la vita dei profeti. Talvolta durissima. Ne sa qualcosa Geremia che nella Bibbia insultato e perseguitato quando con coraggio condannava i tradimenti del popolo verso l’alleanza con Dio. "Viene spontaneo accostare l’esperienza del profeta a quella di don Lorenzo Milani, che qui cominciò il suo ministero di pastore e qui, insieme alla gioia di poter offrire un cammino di riscatto a quanti lo seguirono nella scuola popolare, cominciò a subire contrasti, accuse, rifiuti, che, trovando ahimè ascolto nei suoi superiori, ne causarono l’allontanamento e la destinazione alla piccola comunità di Barbiana. E non meno confliggente fu poi il confronto con la società civile e le sue istituzioni, fino a una condanna inflittagli dopo la morte". Parole del cardinale arcivescovo di Firenze, Giuseppe Betori, risuonate ieri nella pieve di San Donato a Calenzano, dove il sacerdote, fresco di ordinazione, mosse i suoi primi passi nella chiesa.
Don Lorenzo Milani arriva a Calenzano nel 1947, come aiuto parroco del proposto don Pugi incaricato di occuparsi dei giovani. Ha 24 anni. Si coinvolge profondamente nell’ambiente con un approccio diretto, accogliente e rigoroso verso tutto il popolo di Calenzano. Dopo pochi mesi fonda la Scuola Popolare di San Donato, con sede nei locali della parrocchia. Fa in modo di conoscere tutte le famiglie e in particolare i giovani, nessuno escluso, apre la scuola a tutti, cristiani e non, decide con i suoi ragazzi di dedicare il tempo allo studio, agli incontri del venerdì per approfondire con esperti ciò che veniva studiato durante la settimana. Realizza anche cose pratiche e concrete. A dicembre del 1954, a seguito della insofferenza di alcuni parrocchiani e preti dei dintorni, influenti presso la Curia fiorentina, viene “promosso” a parroco della minuscola parrocchia di Barbiana, destinata alla chiusura. Questo hanno ricordato a San Donato, introdotti dall’attuale parroco, don Alfredo Amerighi, gli ex parrocchiani Luana Ballini ed Enzo Brunetti, prima della liturgia. "Il suo stare nella Chiesa - ha osservato il cardinale Betori - gli costò incomprensioni e sofferenze. Ma egli non fu mai un ribelle, quanto piuttosto un uomo, un cristiano, un prete che esercitò l’obbedienza alla verità, quella che si svela alla coscienza illuminata dalla parola di Dio, perché è la verità a renderci liberi; una libertà lontana dallo scegliere secondo il proprio sentire individuale, ma quella che si forma nel rapporto con la Parola, con la comunità, con i poveri".
D.M.