Duccio Dini morto nell’inseguimento, condanne annullate e processo da rifare

Lo ha deciso la Corte di Cassazione. Quattro imputati erano stati condannati a 22 anni di carcere

Omicidio Duccio Dini  Perché un altro processo

Omicidio Duccio Dini Perché un altro processo

Firenze, 20 giugno 2024 – Condanne annullate e processo da rifare. Lo ha deciso la Corte di Cassazione a proposito del caso Duccio Dini, il fiorentino di 29 anni travolto e ucciso da un'auto impegnata in un inseguimento tra clan di etnia rom, la mattina del 10 giugno 2018. Gli Ermellini hanno annullato la condanna a 22 anni di reclusione per Kjamuran Amet e Remzi Amet, Dehran Mustafa e Antonio Musafa, disponendo che si svolga a Firenze un nuovo processo d'appello, il terzo, esclusivamente al fine di ricalcolare la pena per i quattro imputati.

Già nel marzo 2023, la Suprema Corte aveva annullato le condanne fino a 25 anni e due mesi inflitte dalla Corte d'appello di Firenze a quattro partecipanti all'inseguimento di Rufat Bayram: il motivo che aveva portato al processo d'appello bis era rideterminare la pena tenendo conto dell'attenuante dell'articolo 116 del codice penale. La norma prevede una sanzione inferiore per chi, come loro, volevano compiere un reato diverso da quello commesso.

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Con quella stessa sentenza, gli Ermellini avevano confermato la condanna a 25 anni di reclusione con l'accusa di omicidio volontario con dolo eventuale per Remzi Mustafa, l'uomo alla guida della Volvo che investì Dini, fermo al semaforo in via Canova. Era stata anche confermata la pena di 7 anni per Kole Amet ed Emin Gani per tentato omicidio: i due a bordo di un furgone avevano preso parte solo alla fase iniziale dell'inseguimento di Rufat Bayram a causa di un guasto alla ruota che li costrinse a fermarsi.

Duccio Dini, quel giorno, stava andando al lavoro e, in sella al motorino, era fermo al semaforo in via Canova, quando fu investito dalla Volvo che correva a folle velocità, venendo sbalzato. Secondo quanto già ricostruito dai giudici, fu vittima di un raid punitivo pianificato per una faida tra famiglie di etnia rom.