Vichi
Non posso dimenticare quel pomeriggio. Ero giovanissima, appena una ragazzina. Non sapevo come vestirmi. Non era facile scegliere, in una situazione del genere. Franco era morto da due settimane, e volevo rispettare una richiesta che lui mi aveva fatto qualche mese prima. Dovevo farlo, glielo avevo giurato.
Lui mi aveva detto: "Se io dovessi morire, vorrei che tu andassi da mia moglie a dirle che noi ci amavamo. L’idea che se muoio lei non sappia nulla di noi mi fa orrore". Uscii di casa schiacciata dall’angoscia. Come sarebbe andata avanti la mia vita? Non riuscivo a immaginarlo. Salii sopra un bus e riuscii a trovare un posto a sedere. Franco un giorno mi aveva detto: "Sei la cosa più bella della mia vita, ora so che prima di te non ho amato nessuna". Non mi sentivo bellissima, e nemmeno bella. Ma se ero bella per lui, a me questo bastava. Sentivo sgorgare le lacrime dagli occhi, scendevano giù come sangue da un taglio. Le asciugavo con le dita ma continuavano a uscire. Non me ne importava nulla della gente che mi guardava. Scesi dal bus e m’incamminai lungo il viale. Voltai in una traversa, e mi fermai sul marciapiede di fronte alla villa di Claudia, la moglie di Franco.
Davanti alla casa c’era un grande giardino, pieno di alberi e di fiori. Era lì che Franco passava la maggior parte delle notti. Mi sentivo mancare l’aria, ma dovevo farlo. Suonai il campanello e sperai che Claudia non fosse in casa. Passò un lunghissimo minuto. Stavo già per andarmene, ma la serratura del cancello scattò. Avevo sentito parlare molto di quella donna, ma non l’avevo mai vista, nemmeno in fotografia. La porta di casa si aprì e venne avanti una donna sui quarant’anni. Aveva i capelli castani, lunghi, appena ondulati. Era bella. Molto più bella di me, pensai andandole incontro.
Ci fermammo una di fronte all’altra, accanto a una grande azalea fiorita. "Buongiorno... Desidera?" disse Claudia. Aveva gli occhi pesti, come se non avesse dormito. Mi feci coraggio. "Lei è la signora Claudia?" le chiesi, con un filo di voce. "Sì. Lei chi è?" "Mi chiamo Valeria. Avrei una cosa da dirle, una cosa molto importante". "Prego" mormorò Claudia, con una increspatura sulla fronte. "Non è facile..." "Cosa è successo?" chiese Claudia, ansiosa. Anche la lavanda era fiorita. Si sentivano ronzare le api. "È stato Franco a chiedermi di fare questo".
"Franco?" disse lei, allarmata. "Nel caso fosse morto". "Ah..." "Gliel’ho promesso", dissi. Lei continuava a fissarmi, e il suo viso si accartocciava sempre di più intorno al naso. Io non riuscivo più a dire nulla, e aspettavo. "Posso aver capito?" disse lei alla fine, con gli occhi pieni di spine. "Credo di sì..". "Lo dica, voglio sentirglielo dire" disse Claudia, un po’ affannata. "Ci amavamo" riuscii a dire, finalmente, guardandola negli occhi. Claudia fu scossa da un brivido, e un attimo dopo sorrise con amarezza. "Lei è matta". "Mi dispiace… Ma non di averlo amato, e non che lui mi amasse". "P..." disse Claudia, sottovoce.
"No..." dissi, senza smettere di guardarla negli occhi. Mi sentivo forte dell’amore che mi aveva spinta verso Franco. Non c’era nessuna colpa in questo, non poteva esserci. "Franco era mio marito". "Lo so, ma noi ci amavamo". "Non dirlo mai più, per favore", sussurrò Claudia. "Mi scusi". "Insomma se la faceva con le ragazzine, il grand’uomo…". "Non è così". "Che figlio di p…". "Se non me lo avesse chiesto Franco, non sarei mai venuta", dissi. "E io che sto qui a piangere per lui... Povera scema…", sospirò Claudia con un sorriso da folle, fissando il vuoto. "Non è così...".
"Zitta per favore!", disse lei tra i denti. Rimasi zitta, ma continuai a guardarla negli occhi. Avrei voluto fare qualcosa per quella donna umiliata. Avrei voluto abbracciarla. Ma forse non era giusto, e non era nemmeno possibile. Era meglio lasciar perdere.
"Ora che lui è morto, non ce l’hai più nemmeno tu", sussurrò lei. Quella frase mi fece venire voglia di andarmene, ma non ne avevo il coraggio. Preferivo aspettare che fosse lei a mandarmi via. Restammo un po’ in silenzio. Un silenzio desolante, in cui mi sembrava di annegare. Un silenzio pieno di ricordi, miei e suoi, mescolati insieme.
A un certo punto lei fece un lungo sospiro. "Sai qual è l’ultimo regalo che mi ha fatto?" "No…" "Un tostapane… Un tostapane a quattro posti…", disse lei. Sembrava che volesse chiedermi: e a te cosa regalava? Ma non me lo chiese. Si avvicinò e si mise a scrutare ogni particolare del mio viso, come se volesse scoprire un mistero. "Fatti guardare", mormorò. "Mi sento in imbarazzo" dissi, senza abbassare lo sguardo. La vedevo fremere.
"Sei molto bella", disse. "Lei è più bella di me. Franco non mi amava per questo". "Ah, no?" disse lei con disprezzo. Si voltò di scatto e cominciò a camminare verso la sua casa. Rimasi a guardarla finché non la vidi sparire dietro la porta, poi mi avviai al cancello. Uscendo dal giardino lanciai un’ultima occhiata alla casa di Franco. Nel rettangolo di una finestra vidi sua moglie, immobile contro lo sfondo bianco delle tende. Mi fermai e rimasi a fissarla. Da quella distanza non riuscivo a cogliere l’espressione del suo viso. A un tratto la vidi alzò una mano, e la mosse appena per salutarmi. Mi sembrava addirittura che stesse sorridendo. Sì, era vero, stava sorridendo. Non era certo un sorriso allegro, e non era nemmeno amaro. Era un sorriso molto triste, tristissimo, ma era un sorriso per me, era un sorriso… complice. Tutte e due avevamo perso l’uomo che amavamo. Eravamo divise da quella condizione, ma eravamo anche unite.
Non riuscii a sorridere, non mi sembrava giusto. A lei era consentito, a me no. Almeno questo privilegio glielo dovevo. Alzai una mano per ricambiare il saluto e me ne andai lungo il marciapiede, fissando una nuvola che si muoveva lenta nel cielo. Non ci siamo mai più riviste. Ma sono sicura che ogni tanto pensa a me, senza odio, senza disprezzo. Anzi, con tenerezza.