Firenze, 13 dicembre 2023 – Sembrava un incidente. Sembrava che Umberto Della Nave e la moglie Dina Del Lungo, 84 e 81 anni di vita insieme, uno accanto all’altra, fossero stati vittime di una tremenda tragedia domestica. Il cinque dicembre scorso, c’è stato un incendio nel salotto della loro abitazione all’Osteria Nuova, la frazione di Bagno a Ripoli dove Umberto per tanti anni era stato il ’civaiolo’.
Dina se l’era divorata il fuoco, il marito era stato trovato cadavere non lontano da lei.
Sembrava un incidente, ma era un duplice omicidio.
Ne sono convinti i carabinieri che nella serata di lunedì hanno sottoposto a fermo un 46enne di origini calabresi. Indagini a tempo di record, condotte dagli specialisti del comando provinciale e della compagnia di Oltrarno, avrebbero dimostrato che il 46enne era nella casa di via Roma 475 quel pomeriggio.
Stava perpetrando una rapina e forse quell’incendio è servito a cancellare le sue tracce per restare impunito. E a depistare le indagini.In parte, c’era quasi riuscito. Ma qualcosa non tornava: se n’è subito reso conto il magistrato titolare dell’inchiesta, Marco Mescolini.
Un suo sopralluogo nel terratetto del rogo ha aperto il campo rispetto a un’ipotesi diversa della tragedia domestica. Ipotesi che è diventata una vera e propria pista investigativa quando anche l’autopsia ha emesso un verdetto inappellabile. Entrambi gli anziani avevano ricevuto percosse, prima di morire. La donna forse era stata anche strangolata, ma questo dettaglio non trova piena conferma anche per la tremende condizioni in cui, nel rogo dell’Osteria Nuova, è stato trovato il suo corpo. Ma non attenua l’orrore di ciò che si è consumato in quella casa, già in passato attraversata dal dolore. L’uomo conosceva i Della Nave. Sapeva o immaginava che nella casa dei due anziani, che in passato avevano perso il figlio Leonardo più o meno della sua età, potessero esserci dei soldi. Non era un mistero che l’anziano, dopo una vita di lavoro e sacrifici, avesse una discreta disponibilità economica.
Un gruzzolo, raccontano gli amici più stretti, a cui l’ultraottantenne non dava molta importanza e usava raramente solo per togliersi qualche sfizio e coltivare le sue passioni: ovvero la lettura, il biliardo (ne aveva uno in casa che usava con gli amici storici), e le moto. Proprio una due ruote, stando a quanto hanno riferito i testimoni ai carabinieri nel corso della indagini, sarebbe stata al centro di un incontro tra Umberto Della Nave e il 46enne calabrese, che cercò di acquistare la Cagiva 1000 del figlio Leonardo, ma senza una reale disponibilità economica. La trattativa saltò in breve tempo e la moto restò a Della Nave.
A questo, si aggiunge anche un fatto strano, spiega l’amico storico Valerio, successo "mentre Umberto era in ospedale per un problema e l’uomo si presentò davanti casa sua, sollevò il bandone dell’ex negozio ed entrò nell’abitazione, per poi uscire dal retro". La casa della coppia aveva, infatti, una seconda porta d’ingresso (di vetro e con un’inferriata) che collegava il salotto al giardinetto esterno sul didietro, e che, svela chi per primo è arrivato sul luogo al momento dell’incendio, "per volere di Umberto doveva rimanere sempre chiusa, ma proprio in quel maledetto 5 dicembre era spalancata". Tasselli e ricordi frammentati di una figura che mai è stata nella cerchia dei compagni di una vita di Umberto e Dina, e di cui in nessuno conosceva la reale identità. Molto conosciuti erano invece i due anziani: lui, dopo aver lavorato alla fabbrica Behringer di Incisa, aveva rilevato il negozio di prodotti agricoli del padre proprio sotto casa; lei aveva insegnato nelle scuole sparse per il territorio fiorentino. Umberto, oltre al fratello Mario, lascia anche la sorella Franca, prima ’sindaca’ del comune Figline, in carica negli anni ’80. La moglie, invece, era figlia unica. Entrambe le famiglie erano fiorentine, vissute in quella frazione di Bagno a Ripoli ora sconvolta dalla tragedia.
Ieri, intanto, il pm Mescolini, sotto il coordinamento del procuratore capo Filippo Spiezia, ha richiesto al gip la convalida del fermo per omicidio volontario aggravato, rapina aggravata, tentativo di occultamento di cadavere e danneggiamento seguito da incendio. Nel frattempo, il 46enne si trova a Sollicciano. Non è la prima volta: in passato, il calabrese era già finito in un’inchiesta per traffici di droga orditi dai clan della ndrangheta e dalla mala albanese. Oggi era dipendente di una ditta di Grassina. Un tentativo di cambiare vita. Fallito.