
Bove si racconta a VanityFair: "Voglio tornare a giocare, vediamo gli esami". Sul malore: "L’ho rivisto e mi sono detto ’Che figura di...’". "Martina la mia forza".
FIRENZE
"Ricordo davvero poco. Che ero in campo e a un certo punto ha cominciato a girarmi la testa come quando ti alzi troppo velocemente dal letto, ho avvertito una sensazione di spossatezza… e basta. Non ricordo di essere caduto. Mi sono risvegliato in ospedale, toccandomi le gambe perché pensavo mi fosse successo qualcosa al ginocchio, un incidente. Per me, all’inizio, non è stato difficile come per i miei cari: io non capivo nemmeno la gravità della situazione, pensavo di essere semplicemente svenuto".
Edoardo Bove – schivo, dolce, il viso da ’bravo ragazzo’ di una volta – rompe il silenzio in un’intervista fiume a Vanity Fair, in edicola giovedì prossimo (e il martedì successivo in abbinamento gratuito con il nostro giornale).
E lo fa a quasi tre mesi da quel drammatico 1 dicembre, quando il giovane centrocampista viola, al minuto 17 di un tiratissimo Fiorentina-Inter si accasciò davanti alle telecamere e tolse il respiro a una città intera. "È come se si fosse chiuso un cerchio" dice ora Bove a proposito della sfida poi recuperata alcuni giorni fa con i nerazzurri. Stessi colori, stessa atmosfera di quel maledetto giorno di dicembre. Con il cerchio chiuso c’è spazio anche per un sorriso. E il talentuoso centrocampista romano se lo concede quando racconta di aver rivisto subito su Instragram le immagini" e di aver pensato: "’Ammazza che figura di… davanti al mondo intero. Ma non potevi scegliere un altro momento?!’. Subito dopo, però – prosegue nell’intervista – ho capito di essere stato molto, molto fortunato. Ho rischiato tanto, devo essere grato alla vita perché tutto è successo in un campo di calcio, col soccorso a portata di mano: in 13 minuti ero in ospedale. Non so come sarebbe andata, se fosse successo in un’altra circostanza. Dopo aver metabolizzato, mi sono sentito la persona più felice del mondo".
Perché negli occhi puliti di Bove c’è anche quella semplicità che si chiama speranza, e guai se mancasse a vent’anni e poco più. Si vede ancora in mezzo a un campo, Edo. Ci crede. Forse ora come non mai. E dice così infatti: "Ho ancora qualche visita da fare, i medici devono incrociare tutti i dati". E poi? Ora ha un defibrillatore sottocutaneo in grado di rilevare il battito cardiaco irregolare. "Se si decide di mantenerlo, in Italia non potrò giocare – aggiunge Bove – qui da noi la salute viene prima dell’individuo, e non sto dicendo che sia una regola sbagliata. Ma all’estero sì, praticamente ovunque. Il calcio è troppo importante per me, non posso permettere a me stesso di mollare così. Io ci riprovo, senza ombra di dubbio. Vedrò anche come starò: se avrò paura, se non sarò tranquillo… allora cambierà tutto".
Chi è stato più vicino a Edo in queste settimane delicatissime? Il ragazzo non ha mezzo dubbio: "La mia fidanzata Martina, con una forza e un amore incredibili ha gestito una serie di situazioni non semplici, è riuscita a prendersi cura un po’ di tutti. Anche dei miei genitori. Ma ho ricevuto affetto da parte di tutti".
E così tanto non se l’aspettava. "Il mio caso ha quasi unito l’Italia, è stata una cosa potente. Per strada mi fermano anche i tifosi della Lazio per chiedermi come sto. Vede, alla fine se ti comporti bene, il bene ti torna indietro".
Ha una maturità precoce Bove, anche se lui – segno d’intelligenza – è il primo a non volerlo ammettere. In un mondo platinato e spesso muscolare come quello dell’italico pallone Edo ammette che guadagnare (tanto) per giocare a calcio è – scomodiamo De Andrè con la sua favolosa Geordie – "un privilegio raro".
"Sì, siamo fortunati, guadagnamo molto più degli altri sportivi, e non so quanto sia giusto. Certo, è vero che il business che gira attorno al calcio fa muovere tanti soldi, dai diritti di immagine a quelli televisivi. Ma è anche vero che un calciatore di serie A per allenarsi fa molta meno fatica di un qualsiasi nuotatore".
E ora, come gli chiede Vanity Fair, che cosa riesce a immaginare, oggi, per il suo futuro Edoardo Bove? "È molto semplice, sono due gli scenari. – la risposta del ragazzo – Il primo: continuo a giocare a calcio. Il secondo: nel caso in cui non potessi più farlo, lotterei per per trovare un nuovo fuoco dentro di me, che mi possa rendere sereno. Quella è la cosa più importante. Il giorno in cui andando ad allenarmi non mi sentissi più felice, sarei il primo a dire “ciao a tutti”".
Emanuele Baldi