Firenze, 5 gennaio 2025 – Un testamento del 1739. L’ultimo erede della famiglia de’ Medici. Il patrimonio culturale di Firenze. Una richiesta di risarcimento con tanti zero indirizzata alla Repubblica italiana. Non è la scaletta della prossima serie tv sulla dinastia toscana, ma gli ingredienti di una battaglia legale che dal 2016 infiamma le aule di tribunale. Tutto ha inizio quando l’ultimo erede della famiglia dei Medici, ovvero il “primogenito dell’agnate maschio secolare” della casata, fa causa allo Stato italiano, tirando dentro anche il ministero della Cultura e la presidenza del Consiglio dei Ministri. Perché? In quanto erede, si legge nella sentenza, riteneva di “avere diritto alla rendita annua vitalizia complessiva di 1500 luoghi del Monte del Sale o del Redimibile della città di Firenze”, una sorta di Monte di Pietà, “lasciati appunto ai discendenti maschi della famiglia deì Medici da sua altezza reale Anna Maria Luisa de’ Medici, Elettrice Palatina”.
Vissuta dal 1667 al 1743, considerata come l’ultima rappresentante del ramo granducale mediceo e unica figlia femmina del Granduca Cosimo III e della principessa Margherita Luisa d’Orléans, la donna aveva lasciato le sue ultime volontà nel testamento datato marzo 1739, che tradotto e calcolato parla di oltre 84 milioni euro all’anno per l’erede e “alla morte di questo, il suo discendente maschio primogenito” e così via all’infinito.
Cosa c’entra lo Stato? Anno dopo anno, secolo dopo secolo, il Monte del Sale e Granducato di Toscana sono divenuti della Repubblica italiana. Senza contare che, per l’erede, “il capitolo collegio ndr) di San Lorenzo” non ha mai speso alcunché “per la costruzione e manutenzione di cappella, facciata e campanile dell’omonima chiesa”, e che i beni ecclesiastici sono stati “acquisiti per effetto delle leggi eversive dell’asse ecclesiastico” sempre dallo Stato italiano. Quindi per l’ultimo dei Medici – difeso dagli avvocati Gennaro Contardi e Marina Valentinetti – il testamento deve essere considerato come un “Trattato internazionale”, e come tale rispettato perché strettamente connesso al ’Patto di Famiglia’ e al ’Trattato di Vienna’.
In altra parole, l’uomo chiede che l’atto venga considerato “base giuridica per la salvaguardia del patrimonio artistico fiorentino e per la protezione delle ricchezza della città”. E in quanto discendente, rivendica la propria posizione, “ritenendo che il patrimonio artistico fiorentino, di cui fa parte anche la rendita citata” deve essere “preservato nell’interesse collettivo”. Conto totale: la “rendita annua vitalizia” di 84 milioni euro avrebbe dovuta essere elargita “a decorrere dal 1998”,.
Peccato che sia il giudice di primo grado, Daniela Garufi, sia i magistrati della corte di Appello di Firenze abbiano respinto il ricorso dell’erede dal sangue blu. Riconosciuto il ramo discendete cadetto dell’uomo, ciò che viene contestato è la valenza di trattato internazionale dell’atto, considerato invece mero testamento perché privo “dei requisiti tipici” e della “formalità per la validità”.
Il primo giudice lo ha anche condannato per “mala fede” al risarcimento di oltre 15mila euro, revocato invece nella sentenza pubblicate ieri. Nella quale però, oltre alla conferma della decisione, vengono quantificate in 34mila euro le spese legali da liquidare. Finito? Assolutamente no. I legali prometto ricorso in Cassazione. Preparate i popcorn.