REDAZIONE FIRENZE

Esplosione al deposito Eni. La perizia slitta a marzo

Il geologo nominato dalla procura ha già terminato i campionamenti delle acque. Durante l’ultimo sopralluogo notato un copioso sversamento di benzina sul suolo.

Uno dei sopralluoghi svolti nel sito Eni a Calenzano dopo l’esplosione dello scorso 9 dicembre (FotocronacheGermogli)

Uno dei sopralluoghi svolti nel sito Eni a Calenzano dopo l’esplosione dello scorso 9 dicembre (FotocronacheGermogli)

Sono già stati eseguiti i prelievi e le campionature di acqua dai torrenti e dai canali di scolo intorno al deposito Eni di Calenzano dove il 9 dicembre scorso si è verificata la terribile esplosione costata la vita a cinque persone, tre autotrasportatori e due operai che stavano eseguendo lavori di manutenzione. La procura di Prato, guidata da Luca Tescaroli, ha disposto nuovi accertamenti sull’impatto che il disastro potrebbe aver causato sull’ambiente circostante all’impianto e ha nominato un geologo che dovrà unire i risultati delle ricerche sul rischio ambientale alla perizia degli altri due pool di esperti (gli esplosivisti) incaricati di chiarire cause ed eventuali responsabilità dell’esplosione. Motivo per cui la procura ha fatto slittare la consegna della perizia al 3 marzo in modo da avere un quadro completo della situazione e, eventualmente, procedere anche alla contestazione di reati ambientali.

Al momento il fascicolo, contro ignoti, è aperto con le ipotesi di reato di omicidio colposo plurimo, crollo doloso di costruzioni o altri disastri e rimozione o omissione dolosa delle cautele contro gli infortuni sul lavoro. Con la consegna della perizia tecnica, la procura mira a restringere il campo e individuare eventuali responsabili. I nuovi accertamenti si sono resi necessari una decina di giorni fa quando, nell’ultimo sopralluogo eseguito con il supporto di un drone, è stato notato all’interno del deposito un copioso sversamento di benzina sul suolo, causato dalla rottura di alcune valvole di sicurezza. Una scoperta che ha fatto alzare il livello di attenzione della procura sul problema ambientale e sulle ricadute sulla salute, in considerazione del fatto che dentro al deposito – sotto sequestro dal 9 dicembre – sono ancora stoccate 40.000 tonnellate di carburante.

Una "bomba" ambientale messa ancora più a rischio dagli eventi esterni come la "rottura (anche accidentale), il pericolo sismico, meteorologico, geofisico" ma anche "fulmini che cadono" o "derivante da dissesti idrogeologici". Il mantenimento del deposito sotto sequestro, per la procura, è un atto di garanzia per i problemi ambientali e i rischi per la comunità che potrebbero derivare dopo il disastro e delle operazioni svolte per spegnere l’incendio, con l’acqua non depurata che è finita nel Tomarello e in un altro fosso.

Resta da capire se i residui di idrocarburi siano arrivati fino alle falde. "Uno degli obiettivi che l’ufficio si è prefissato, sin dal momento del disastro – ha scritto il procuratore Tescaroli in una nota – è costituito dalla messa in sicurezza dell’impianto, ove sono conservanti ingenti quantitativi di combustibile. Un obiettivo strettamente correlato a quello dell’individuazione delle cause e delle eventuali responsabilità anche penali". La fase delle acquisizioni, invece, è terminata con l’ultima perquisizione avvenuta negli uffici di Eni a Milano. La documentazione è molta e adesso restano una ventina di giorni prima di chiudere il cerchio anche alla luce delle risultanze che emergeranno dal lavoro del geologo.

Laura Natoli