Claudio Capanni
Cronaca

Via il deposito Eni da Calenzano? “Costerebbe centinaia di milioni. E siamo dipendenti dall’energia”

Ipotesi sul tavolo, ma l’impianto copre l’80% del fabbisogno di energia ’liquida’ di Firenze. L’analisi di un ex dirigente della società: “C’è da soddisfare la domanda del Paese”

Firenze, 14 dicembre 2024 – La domanda sta iniziando a rimbalzare. Sia nella testa degli addetti ai lavori che in quella della politica: Firenze può fare a meno del maxi deposito Eni di Calenzano? E quanto costerebbe il trasferimento? Dare una risposta è tutt’altro che semplice. Nei 170mila metri quadri di stabilimento Eni stocca mediamente 160mila tonnellate di carburante che danno energia a mezza regione. Fra gli idrocarburi c’è anche, per capirsi, il jet fuel necessario per far viaggiare gli oltre 3 milioni di passeggeri che ogni anno passano dall’aeroporto fiorentino di Peretola. E, lo stesso deposito, contribuisce praticamente all’80% del fabbisogno di energia ’liquida’ di Firenze.

A provare a dare una risposta è un ex dirigente Eni, oggi in pensione con alle spalle quasi 40 anni di esperienza, Francesco Franchi.

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Specialisti dei vigili del fuoco effettuano i rilievi il giorno dopo l’esplosione

“La prima considerazione – riflette Franchi – è che dal deposito di Calenzano, in media, uscivano circa 150 macchine (autocisterne, ndr) al giorno. Gran parte di questi rifornimenti sono inerenti al nodo di Firenze, ma riguardano anche le altre città toscane. In caso di spostamento, prima di tutto, bisogna calcolare l’incremento impressionante di traffico pesante che il nuovo sito attirerà”.

Un incremento che, oggi, è ben assorbito dalla posizione strategica di Calenzano, a pochi passi dal casello dell’autostrada. L’intasamento delle arterie del traffico fu una delle preoccupazioni alla base della costruzione dell’oleodotto. “Per questo furono realizzati i due tubi sotterranei che furono anche causa di ’pensieri’: spesso sono stati aggrediti dalla malavita per rubare gasolio e benzina nei loro oltre 70 chilometri di percorso”. L’altro limite a un eventuale, spostamento, secondo Franchi, sarebbe la forza lavoro. “La possibilità di delocalizzare – spiega – dovrebbe fare i conti anche con la forza lavoro che dovrebbe essere d’accordo con il trasferimento”. Ma, secondo Franchi, il punto è anche un altro: mentre le politiche europee puntano sulla decarbonizzazione, gran parte del Paese è ancora legato agli idrocarburi. “Eni sta puntando sulla trasformazione ed è la prima a favorire la transizione ecologica. Per questo ha costruito a Mestre e a Gela due bioraffinerie e ha in programma la trasformazione della raffineria di Livorno. Ma nel frattempo c’è da soddisfare la domanda del Paese”.

Un Paese, il nostro, che viaggia su ruota con mezzi soprattutto a benzina, che ha bisogno di gasolio per scaldarsi e avere acqua calda. “Purtroppo – riflette ancora Franchi – siamo un mondo energivoro. La presenza di questi siti e delle loro dimensioni, come nel caso di Calenzano, è chiaramente legato alla domanda di mercato. È cresciuto con il crescere della domanda: nel 1957 era inferiore, basti pensare a quanto meno traffico c’era all’aeroporto di Firenze che praticamente faceva solo pochi voli privati, mentre oggi sono decuplicati”. Smantellare la struttura, invece, richiederebbe uno sforzo minore. “Anche se i costi – dice – potrebbero ammontare a centinaia di milioni di euro. Ma per fortuna è un deposito e quindi non ci sono attività di trasformazione prodotti ma solo di stoccaggio e carico. Dobbiamo però riflettere su una cosa: mettiamo, per assurdo che fra qualche giorno nevichi. Come farebbe, con il deposito chiuso, la quantità di benzina necessaria a Firenze ad arrivare da Livorno? Tramite autobotti via gomma? Purtroppo siamo dipendenti dall’energia”.