TITTI GIULIANI FOTI
Cronaca

Guarducci: "Un film per ritrovare l’anima"

È ’La sconosciuta’ l’ultima fatica cinematografica del regista, scrittore e drammaturgo fiorentino. In prima nazionale al cinema Adriano

Fabrizio Guarducci

Fabrizio Guarducci

Firenze, 24 novembre 2021 - «E’ brutto sottovalutare la forza di chi ha una visione alternativa, forse, si dirà, antica e superata, ma pur sempre una visione. E’ questa la bellezza in cui sono riuscito, attraverso il linguaggio cinematografico, a scavarmi un nido. Una sorta di nostalgia alternativa dove trovare rifugio". Così Fabrizio Guarducci, scrittore, sceneggiatore e regista fiorentino che dai tempi dell’Università si è interessato al linguaggio come strumento per il miglioramento della società e dell’individuo. Convinto situazionista, entusiasta seguace di La Pira, Guarducci ha sempre preferito educare piuttosto che plasmare la mente, anche dei suoi studenti. Sarà proiettato in prima nazionale al cinema Adriano di Firenze il 13 dicembre il suo ultimo film, girato a Chianciano "Una sconociuta" (Fariplay) che ha già vinto varie sezioni del selettivo Terre di Siena Film Festival quali Miglior film (Fabrizio Guarducci), Miglior produttore (Matteo Cichero), Miglior attore protagonista (Sebastiano Somma). Guarducci, chi è la sua Sconosciuta? "E’ un personaggio enigmatico, una donna bella che per tutto il film non parla. Ma che riuscirà, attraverso i suoi silenzi e l’espressione dei suoi occhi, ad far indagare chi la interroga per riportare le persone nella loro vita, alle sensazioni come in un esercizio spirituale. Con un’ attitudine introspettiva attraverso le immagini e il racconto si arriva dritti dritti a capire la mortalità, la fragilità, e una socialità che era stata interrotta da un evento che il film fa solo intravedere e non racconta, che è collegabile al silenzio e alla incomunicabilità dovuti alla pandemia". Cosa è mancato all’essere umano da dover raccontare? "Tutta la gerarchia dei piaceri, come abbracciarsi, baciare gli altri, toccarli, farsi toccare, andare a teatro, viaggiare, o semplicemente prendere l’autobus. Tutto a un certo punto è stato azzerato. Le persone non si parlavano neppure più per timore di contagio, e si sono chiuse sempre più in loro stesse. Allora è qui che ho incontrato la mia sconosciuta". Dove? "In un caffè in piazza della Repubblica. C’era veramente questa signora elegante seduta a tavolino col suo libro ogni pomeriggio come in un rituale. All’inizio le persone non ci facevano neppure caso, poi hanno iniziato a chiedersi chi fosse, cosa facesse. A fantasticare su di lei. E infine a parlarle. E lei era lì, paziente ad ascoltare, forse sussurrava belle parole, ma è stata l’espressione dei suoi occhi a dare le risposte che tutti aspettavano. Un po’ come dire: guardatevi dentro, leggete il vostro cuore. Lì c’è tutto". Ha coraggio a proporre temi tanto introspettivi al cinema. "Mi sono sempre ispirato a due registi: Bergman e Malick. Anche per la stesura del mio romanzo dal quale è stato tratto il film, scritto assieme a Sebastiano Somma, il mio riferimento sono stati loro. Avevo necessità di dimenticare quella solitudine. Voglia di dimenticare meschinità che sempre l’onda lunga di antiche, persistenti, ambizioni e la solitudine, si lasciano dietro ritirandosi, come una scia di detriti". E cosa ha scoperto? "Che l’uomo non può barattare i propri sentimenti. Neppure per uno sguardo".