REDAZIONE FIRENZE

Famiglia uccisa dal gas. La bimba sopravvissuta è fuori pericolo

Dopo oltre una settimana di lotta, la piccola ha superato la fase più acuta. E’ stata salvata in quello stesso Meyer che il padre aveva finanziato.

I vigili del fuoco e la polizia al lavoro nei dintorni della casa invasa dal monossido

I vigili del fuoco e la polizia al lavoro nei dintorni della casa invasa dal monossido

di Francesco Ingardia

Da oltre una settimana lotta come una gladiatrice. La piccola di sei anni intossicata dal monossido di carbonio lo scorso 19 dicembre ha perso tutto ciò che più conta nella tragedia di San Felice a Ema, alle porte di Firenze. Il padre Matteo Racheli, la madre di origine sudamericane Margarida Alcione e il fratello maggiore Elio di soli 11 anni. Vittime del killer silenzioso e delle inalazioni di una caldaia probabilmente mal funzionante. La bambina ha perso tutto tranne che la voglia di vivere combattendo.

Il suo coraggio ha squarciato il cielo di Firenze, nero da giorni per le anime spezzate così assurdamente. E per i bollettini diramati dal Meyer, ospedale pediatrico in cui è ricoverata in rianimazione, di giorno in giorno inviariati: prognosi riservata, sedazione, insufficienza multiorganica. Ma le sedute ripetute di ossigenoterapia in camera iperbarica hanno consentito di scalzare il legame fortissimo del monossido di carbonio con l’emoglobina, a favore dell’ossigeno, quel tanto che basta per far dire al suo tutore legale, il responsabile del servizio di anestesia e rianimazione del Meyer Zaccaria Ricci, che la bambina è ora "fuori pericolo di vita".

"È avvenuto un piccolo miracolo, considerando la gravità dell’evento - ammette il dottor Ricci -. La bambina è uscita dalla fase più acuta e ora respira spontaneamente senza bisogno di supporti, dice qualche parolina, alternando momenti di vigilanza e di contatto con i familiari più stretti presenti in struttura. Davanti a sè ha un lungo percorso di riabilitazione, in cui sarà valutato da noi l’impatto dovuto al danno neurologico riportato. C’è ancora tanta strada da fare, ma finora i progressi fatti sono molto buoni".

C’è però una storia nella storia che merita di essere raccontata. Emotivamente dirompente e del tutto irrazionale, col senno di poi. Una storia sotto forma di filo rosso invisibile che lega la famiglia Racheli all’ospedale pediatrico Meyer.

Che dal primo ottobre scorso può vantare una recovery room tirata a lucido, funzionale e operativa. Una sorta di anticamera di mezzo, sub intensiva, tra le sale di reparto e quanto avviene nel blocco operatorio, utile ad accogliere per un lasso di tempo determinato baby-pazienti successivamente all’intervento chirurgico, nei momenti delicati del risveglio post anestesia. Cinque posti letto, muniti di ossigeno, monitor, ventilatori. E strumentazioni per ogni evenienza.

Per finanziare la ristrutturazione del vecchio megazzino la Fondazione ha dovuto investire circa 300mila euro, in parte coperte dalle donazioni di membri benefattori. Tra cui, il destino ha voluto, Matteo Racheli, padre della bambina di 6 anni, nell’estate 2023. Un gesto altruista del tutto avulso alla tragedia, ma che fa salire un brivido lungo la schiena, ora che la storia è divenuta di pubblico dominio.

Il tassello finale è l’ultima dotazione in capo al Meyer grazie alla Fondazione: un macchinario di chirurgia robotica da 3,5 milioni e 100 interventi l’anno all’avanguardia (il Da Vinci Xi) in grado di evolvere il concetto di efficienza e mini invasività, eseguendo tutti quegli interventi che comportano spazi ristretti di manovra.