
di Giovanni Bogani
Salvatore Ferragamo e Firenze: un legame fortissimo, assoluto. Un legame scelto. Il passato di Firenze, il Rinascimento, la tradizione artigiana, che si riverberano nel presente. Al Lido di Venezia, alla Mostra del cinema, è stato presentato il film di Luca Guadagnino su Salvatore Ferragamo: "Salvatore: Shoemaker of Dreams". E nella storia che il film racconta, c’è anche un po’ della storia di Firenze. Spesso, campeggia nel film palazzo Spini Feroni. Noi fiorentini siamo abituati a vederlo lì, severo, medievale, a dominare il ponte Santa Trinita e, in fondo, l’antica via d’accesso alla città da sud. Oggi, per noi, è indissolubilmente legato al nome Ferragamo. Così come Ferragamo è, per noi, legato a Firenze.
Quello che non sapevamo, e che il film di Guadagnino racconta, è ciò che c’era prima. Prima c’era un paesino minuscolo dell’Irpinia, Bonito, e un ragazzo che a diciassette anni, come milioni di altri, prende un biglietto di terza classe per l’America. In pochi anni diventa ricco e famoso. Poi decide di tornare e sceglie Firenze. Perché? Ne parliamo con due dei suoi figli, Giovanna Gentile Ferragamo, e con Leonardo. Hanno gli occhi azzurrissimi, i modi garbati, una fiducia nella vita che sembra venire da lontano. "Nostro padre scelse Firenze consapevolmente", dice Giovanna Gentile Ferragamo. "La cosa più logica per lui sarebbe stata tornare a Napoli: era una città vivace, molto avanti nella moda, e lui era campano. Invece volle Firenze, volle lavorare con gli artigiani fiorentini, con loro e in mezzo a loro". Nell’atelier fiorentino approdavano artigiani del cuoio, della paglia, e spesso passavano i divi del cinema. "Era incredibile, per noi, vedere le attrici del grande schermo in così grande confidenza con nostro padre: Audrey Hepburn, Ava Gardner, Anna Magnani". In quella Firenze scelta per la sua tradizione, per i suoi artigiani, Ferragamo lavorava al suo nuovo Rinascimento. Disegnava scarpe come Leonardo disegnava progetti per il volo. "Aveva studiato anatomia in California, per poter progettare scarpe che prima di tutto sostenessero il piede. Dovevano essere belle, ma dovevano essere comode".
Salvatore viveva, nel palazzo di pietra, artigiano fra gli artigiani. "Nel suo studio c’era un tavolino pieno di materiali strani, di pezzetti di cuoio, sughero, corde: lo ricordo sempre con il chiodo in bocca", ricorda Giovanna. La vita, per Salvatore Ferragamo, era anche quella familiare, nella villa fra San Domenico e Maiano. "Era un papà presente", ricorda Leonardo. "E sempre allegro, gradevole: severo ma mai animoso. Mi sento privilegiato per non aver mai potuto percepire il nostro privilegio", dice Leonardo. "Papà ci spingeva a lavorare sodo, a dimostrare di saper fare le cose, a valere il nome che portavamo".