
Roberto Ferrari, direttore del Museo Galileo
Firenze, 9 maggio 2021 - “Quello che mi ha colpito, e che ancora mi colpisce, di questo virus e delle sue terribili conseguenze è la prepotenza con cui ha occupato ogni spazio del nostro pensiero e del nostro comportamento”. Roberto Ferrari dirige da qualche mese una delle più importanti istituzioni culturali della città, il Museo Galileo, al cui vertice è stato nominato proprio durante i mesi terribili del Covid. La sua vita da neo direttore è stata così scandita dalle “vie deserte del centro” "dagli uffici in cui ci siamo ritrovati a volte soli da mattina a sera” dalla “paura che assediava rapidamente ogni contatto quotidiano”. Un senso di solitudine che somiglia a quello che Galileo deve aver vissuto in compagnia del suo pensiero eterodosso. Custode di una verità creduta fermamente ma osteggiata dai contemporanei. Ma come Galileo oggi possiamo dire ‘eppur si muove”.
“La pandemia ha reso evidenti problemi strutturali, e da tempo segnalati, come l’espulsione dal centro storico degli abitanti e l’insostenibilità di un’economia centrata su forme di turismo di massa (che preoccupa nei modi in cui si manifesta più che nei numeri)” dice Ferrari. Che aggiunge “si tratta di due fenomeni intrecciati, in cui si annidano rischi enormi: la perdita di senso (anche estetico) delle produzioni artigianali e manifatturiere, la disarticolazione tra produzione artistica/scientifica e comunicazione culturale (con l’inevitabile impoverimento dei contenuti veicolati), l’insofferenza verso la dialettica nel discorso pubblico (con la conseguente atrofizzazione del senso critico necessario ad un sano rapporto tra collettività e istituzioni)”. A fonte di questo però, sottolinea il direttore del Museo Galileo, “c’è una vitalità di fondo che può contrastare una possibile deriva verso la ‘città-cartolina’: oltre a quanto di prezioso la storia ha posato qui, c’è un instancabile realismo antiretorico che opera in ogni ambito della vita cittadina ed è la base su cui - ne sono convinto - può poggiare una solida ripartenza. E poi c’è un numero impressionante di istituzioni culturali che possono fornire lo scheletro robusto di una strategia culturale”. Come vede il futuro di Firenze? Su cosa dovrebbe puntare? Ed in che modo? Firenze è una città ricca di persone e organizzazioni consapevoli ed attrezzate ad affrontare anche questa crisi; per quanto riguarda il mondo della cultura, che più da vicino conosco, intravedo una nuova sensibilità verso la necessità di un più organico rapporto tra le istituzioni grandi e piccole. È inoltre una città molto studiata, e per fortuna esistono analisi e proposte su tanti fronti e molte questioni, anche di dettaglio. Però ora è il momento di ripensare la visione di insieme. Se dovesse consigliare al sindaco un provvedimento immediato da prendere per dare il senso di una ripartenza post-covid? Individui spazi pubblici da dedicare alla ripartenza attraverso la cultura, a partire dalle cosiddette periferie: il percepibile bisogno di stare insieme potrà diventare un motore potentissimo per dare corpo ad una idea diversa di città, a partire da chi la vive o vuole venire a dare un contributo (persone e organizzazioni, molte delle quali in cerca di sedi). Bisogna invertire la tendenza che porta intere porzioni di città, ricche culturalmente, a divenire paradossalmente ‘zone anonime”. E l’immagine che si porta dietro di questa pandemia? I giochi con mia figlia attraverso una videochiamata. Domenico Guarino