TERESA SCARCELLA
TERESA SCARCELLA
Cronaca

Festa musulmana a Castagno d'Andrea: integrazione e accoglienza al centro

A Castagno d'Andrea, il centro di accoglienza celebra la fine del Ramadan con una festa che unisce comunità e ospiti

Festa musulmana a Castagno d'Andrea: integrazione e accoglienza al centro

Castagno D’Andrea (Firenze), 1 aprile 2025 – L’aria fresca di un paesino in collina, l’inconfondibile odore di brace che si appiccica sui capelli e sui vestiti, una lunga tavolata all’aria aperta che sfida le nuvole minacciose. Chi apparecchia, chi arrostisce la carne, chi pensa alla musica, e chi si tiene ben lontano da ogni compito. Sembra una scampagnata tra amici ed effettivamente lo è, ma non una qualsiasi. È domenica, è finito il Ramadan ed è un giorno di festa per la fede musulmana. Si pranza tra amici e parenti. A Castagno d’Andrea, però, la famiglia è allargata. Nel paesino di 160 anime, gli 80 ospiti del centro di accoglienza si sentono a casa. Si arriva in macchina con l’imam di Firenze Izzedin Elzir e Sandro Ghini, del Coordinamento misericordie fiorentine. "Sapete qual è uno dei testi che cristianesimo, ebraismo e islam hanno in comune? - interroga l’imam - la storia di Caino e Abele. Due fratelli, stessa lingua, stessa etnia. Cosa ci dice? Che l’uomo uccide per invidia, non per fede".

Alla guida c’è Giuliano Bagnoli, dipendente del Cas da quando ha aperto, nel 2023. Dopo una parentesi buia e un percorso di reinserimento nel mondo del lavoro, oggi vive nel centro con i ragazzi. "Qui nessuno mi giudica per il mio passato" dice con un sorriso malinconico. Il Cas è alle porte del paesino. Un ex albergo su tre piani, con stanze e bagni privati, una zona comune e il giardino. "Quando abbiamo aperto non avevamo nulla - spiega Ghini - grazie ad alberghi e aziende ci siamo pian piano organizzati, partendo da materassi, lenzuola, carta igienica".

Al nostro arrivo fervono i preparativi per il pranzo. Le due braci roventi attendono la carne messa a marinare. Ai ’fornelli’ sono in cinque, tra ospiti e volontari. L’accoglienza è calorosa. Strette di mano e sorrisi devoti per l’imam, pacche confidenziali sulle spalle per Giuliano e Sandro. Prima di sedersi a tavola, un momento di raccoglimento. A piedi nudi e in silenzio, seguono l’imam nella sala comune.

"Per famiglia si intende anche amici e la comunità intorno a voi. Ricordate che Allah è sempre lo stesso Dio e noi non dobbiamo essere buoni solo durante il Ramadan. L’autodisciplina ci dimostra che possiamo cambiare noi stessi se vogliamo e questo vuol dire che siamo forti. Non dobbiamo dimenticarlo". È il breve sermone recitato in italiano. La lingua che la maggior parte di loro già conosce, grazie alle lezioni fatte con le volontarie Luana e Cinzia Collacchioni. Dalla porta lasciata aperta si intravede una lavagna e sui fogli attaccati alle pareti sono elencati i numeri, i giorni della settimana, le parole più comuni, di uso quotidiano, con tanto di disegni. "Noi impariamo l’italiano, ma tu devi imparare l’arabo" scherzano con Giuliano. Una ventina di loro lavora in ristoranti e aziende tra Scopeti, Borgo e Firenze. Ogni giorno prendono il bus fino a Dicomano e da qui vanno in treno. C’è chi se la fa a piedi fino a San Godenzo. "Una passeggiata rispetto alla settimana di camminata fatta durante la fuga" racconta Zouba, 37 anni, è il più grande là dentro. Lui e Fatao vengono dal Burkina Faso. Prima di arrivare in Italia a bordo di un barchino, hanno dovuto attraversare il Niger, l’Algeria e la Tunisia, in bus e a piedi appunto. "Dormivamo dove capitava, anche per strada - raccontano - senza bere né mangiare per giorni. È stata dura". Il viaggio di Jomo, 32 anni, è stato più breve: dal Gambia alla Tunisia, qui poi si è imbarcato in direzione Lampedusa. "Preferisco non parlare dei motivi per cui ho lasciato il mio paese - ammette - lì ho lasciato tutta la mia famiglia".

A differenza di chi vede l’Italia come una zona di passaggio, loro non hanno dubbi: "Vogliamo restare. Ci piace l’Italia, ci piace il cibo". Il menù del giorno è arabo, carne di montone e cous cous con ceci e datteri. Al primo ci ha pensato Mouna. Tunisina, sulla trentina, viveva in struttura fino a poco tempo fa, poi è stata trasferita in una casa a Contea con i due figli di 10 e 8 anni. Arriva insieme a Corrado Pretolani, un altro dipendente del Cas, soprannominato ’l’africano dalla pelle bianca’.

Gli ultimi a unirsi sono alcuni residenti e don Bruno, a lui e all’imam sono riservati i posti d’onore. Non manca nessuno e il pranzo può iniziare. A saltarlo tra gli ospiti del Cas è solo Christian, ha un appuntamento che non può rimandare: la partita della domenica con la sua squadra, il Vicchio. Per il caffè, invece, ci si affida alla Casa del Popolo di Castagno. Lì dove ogni tanto residenti e immigrati si ritrovano a fine giornata. Prima di andare via c’è solo una cosa da dire e lo fanno don Bruno e l’imam per tutti: "Grazie per questo bellissimo momento di gioia condivisa. Spero ce ne siano altri". Ci si lascia con questa promessa sincera, accolta da un lungo applauso.