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Marito e moglie all’uscita da un’udienza del processo a Prato
Firenze, 21 febbraio 2025 – No del tribunale di sorveglianza di Firenze alla scarcerazione della donna pratese, che ad aprile compirà 37 anni, condannata a sei anni, cinque mesi e 13 giorni per aver abusato per un anno e mezzo del ragazzino a cui impartiva ripetizioni, dal quale ebbe anche un figlio.
Nonostante il parere positivo della procura generale, i giudici hanno respinto la richiesta di affidamento in prova ai servizi sociali e di detenzione domiciliare presentata dai suoi difensori, gli avvocati Mattia Alfano e Massimo Nistri. L’istanza dei legali era stata calibrata sul rapporto tra la mamma e il figlio più piccolo (minore di anni 10, la soglia stabilita dalla legge), «al fine di evitare, fin dove possibile, che l’interesse ad un armonico sviluppo della personalità sia compresso dalla perdita delle cure parentali determinata dalla permanenza in carcere del genitore».
Ma l’unica «concessione», a distanza di sedici mesi dal suo ingresso nella sezione femminile del carcere di Sollicciano, è stata quella della fruizione di permessi premio, «anche nella massima durata», si legge nell’ordinanza, «così da poter incontrare in tali ambiti gli psicologi e le assistenti sociali», nell’ambito di un percorso di sostegno al nucleo familiare disposto dal tribunale dei minorenni.
I due figli della donna hanno oggi sedici e sette anni. Vivono con suo marito, che ha riconosciuto anche il secondo, il cui padre - riconosciuto con il dna - è invece la vittima del reato di violenza sessuale (iniziata quando il giovane aveva meno di 14 anni e durata mesi, anche oltre la gravidanza di lei) per cui è stata condannata la donna.
La coppia ha resistito allo scandalo che da Prato divampò in tutta Italia nel 2019 e oggi i due vengono visti come «affiatati». Ed è sempre il marito che ogni sabato mattina accompagna i ragazzi al colloquio; l’altra occasione di contatto tra mamma e figli è la videochiamata dal carcere, una alla settimana.
Per la Sorveglianza, nella 37enne prevale «l’aspetto narcisistico della sua personalità», e, insistendo sul reato che ha commesso, «capisce che sta sbagliando ma allo stesso tempo non coglie fino in fondo la prospettiva del ragazzo e in che modo gli sta facendo del male».
Secondo la psicologa che l’ha incontrata, la donna ha «difficoltà ad assumersi la responsabilità dei fatti, giustificando il proprio atteggiamento e avvalorando l’immagine di sé come ’vittima della sua stessa vittima’».
«La vicenda è grave e tutti noi la conosciamo - commenta l’avvocato Alfano -. Le sentenze irrevocabili sono un fatto storico, su cui non tornare sopra. Dispiace però che ci torni sopra il tribunale di sorveglianza, che non dovrebbe far altro che valutare il percorso fatto da un detenuto. Se c’è una legge pensata per i bambini sotto i dieci anni per tutelare la loro crescita non si può far finta che questa legge non esista. Siamo delusi e stiamo pensando di far ricorso per Cassazione. Non si chiede chissà cosa, solo di contribuire alla sua crescita. Questa misura poteva già essere applicata a novembre, e invece il bambino, nonostante le nostre richieste, non ha avuto sua mamma, per una serie di rinvii, neanche per la recita di Natale».