C’è una bella sorpresa dietro l’angolo. E per i tanti fan della Bandabardò restano poche ore di attesa. Ma siccome è una sorpresa, resta top secret. Finaz ridacchia: "Manca poco dai. Per ora dico solo che per noi sarà entusiasmante. E speriamo che lo sia anche per tutti quelli che ci vogliono bene e ci seguono da trent’anni". Alessandro Finazzo, in arte Finaz, è considerato uno dei più grandi chitarristi italiani. Fondatore della Banda insieme a Enrico Greppi (Erriquez), l’amico e compagno di viaggio scomparso nel febbraio del 2021, Finaz era un ragazzo arrivato a Firenze da Volterra. Un grande salto che gli ha permesso di entrare a far parte di un mondo allora denso di entusiasmo creativo e di voglia di musica. "Ho iniziato a suonare la chitarra da piccolo. Per me Firenze era una meta irrinunciabile. Qui nacque l’idea che si poteva fare rock cantando in Italiano. Litfiba, Diaframma, Moda: c’era voglia di suonare".
Poi capitano incontri che ti cambiano la vita. "Io studiavo al conservatorio. Ma tenevo vivo il sogno rock con la mia chitarra elettrica che suonavo nel mio primo gruppo: i Dedalo. Incidevamo al Gas studio di Sergio Salaorni. Lì incontrai Gianni Maroccolo e Antonio Aiazzi dei Litfiba. Divenni amico di Francesco Magnelli e quindi di Piero Pelù. Che botta di felicità per me che ho sempre considerato Desaparecido un capolavoro assoluto".
E poi ecco un’altra sliding door decisiva. "Dall’amicizia con Enrico prese corpo un’idea folle e vincente. Lui era innamorato dei cantautori: De Andrè, Guccini, Brassens. Però voleva creare qualcosa che facesse muovere la gente, divertire. Un incrocio vincente di folk e rock che desse vita a qualcosa di nuovo, almeno per il circuito musicale italiano. I Mano negra di Manu Chao stavano spopolando. Così, nel ’93, nacque la Bandabardò".
E lei riprese in mano la chitarra acustica, creando uno stile di cui è maestro. "Uno stile estremo. Essendo un tipo curioso ho lavorato tanto sulle varie possibilità del suono. Dall’uso dei pick up all’utilizzo delle corde di acciaio".
Così è nato il vostro sound e la Banda è diventata un punto di riferimento… "Tanti dischi, almeno una cinquantina di concerti all’anno in giro tra Italia, Europa e al di là dell’oceano".
Poi quel giorno drammatico di febbraio che rischiava di mettere la parola fine al vostro sogno. "Sono stato vicino a Enrico fino all’ultimo giorno. Eravamo in lockdown, non lavoravamo da un pezzo. Giorni durissimi per tutti. E intanto se ne stava andando il mio migliore amico. Che mi disse: mi raccomando, continuate anche senza di me. In tutta sincerità non pensavo che fosse possibile. Avevo pensato di smettere e di fare il concorso per andare a insegnare. Erano giorni bui…".
E poi… "Poi mi ha salvato Piero (Pelù ndr). Mi ha detto: vieni in tour con me. Non smetterò mai di ringraziarlo".
E la Banda? "Nessuno di noi aveva idea di come fare. Io ed Enrico componevamo insieme. Da solo mi sentivo perso. I fans ci chiedevano di ricominciare ma Enrico era insostituibile. Come fare? Poi è arrivata l’idea vincente. “Sì, ci siamo detti: non cerchiamo un sostituto, ma una collaborazione. Ecco Stefano Cisco Bellotti, ex Modena city ramblers. La cosa ha funzionato. Un disco insieme e un tour. La nostra gente si è ritrovata sotto il palco a ballare. E’ stato emozionante".
La chitarra di Finaz è stata ed è molto richiesta. Tante le sue collaborazioni: qual è il ricordo più incredibile delle sue avventure parallele alla Banda? "L’artista da cui ho imparato di più è senza dubbio Franco Battiato. Lo incontrai perché coi Folkabbestia volevamo incidere “Voglio vederti danzare”. Lui non solo fu felice di ascoltare la nostra versione, ma mi chiese di partecipare al nostro disco di cover. Però non voleva cantare una sua canzone, mi disse che non voleva sembrare autoreferenziale e scelse di cantare l’avvelenata di Guccini. Franco era un genio e anche un maestro di umiltà".
Finaz, il disco della sua vita? "Il White album dei Beatles: un miracolo arrivato quasi a tempo scaduto".
Cos’è Firenze oggi per lei? "Il mio rifugio. Passo molto tempo in giro, mi sento un po’ cittadino del mondo, quindi quando posso stare a casa con mia moglie mi sento protetto".
In attesa della sorpresa sulla Bandabardò resta una domanda inevitabile: Perché Finaz? "Fu Roberto Zamagni, l’ex batterista dei Moda, a inventare questo nome di battaglia. Lui, da buon romagnolo, storpiava Finazzo a modo suo. Alla fine venne fuori Finaz. Enrico disse che era molto spagnoleggiante e ci stava bene, così scelse Erriquez e da allora è stato sempre così".