Firenze, 18 maggio 2024 – Chi non c’è mai stato non potrà mai capire, chi non è tornato a casa con i piedi e la testa fradicia, senza voce o con la faccia infuocata dal sole non avrà mai la fantasia per immaginarsi cosa sia una partita così fuori strada e lontana da ogni normalità. Fiesole alle spalle e il cuore nudo davanti a una visione impossibile. Una porta ai tuoi piedi, l’altra piantata sull’orizzonte, laggiù. C’è quello che grida “gooool” perché vede i giocatori festeggiare. Ma qui non si abbraccia. Si stringe. Qui, mentre alzi le braccia al cielo, pensi a come mantenere l’equilibrio quando mezza curva precipita giù per arrivare più vicina al campo, ai suoi giocatori, all’erba di casa sua.
La Fiesole non è solo un luogo fatto di cemento e tifosi ma il semicerchio dell’irrazionalità sentimentale in purezza, delle anime più folli, più fradice di pioggia o di sudore. Prima della techno, di quel battito continuo esploso nelle discoteche berlinesi nei novanta, c’erano loro, quelli che picchiavano sui tamburi, dall’inizio alla fine. Quei bassi erano il ritmo della battaglia, erano incitamento, erano la musica di una curva costruita novantadue anni fa che aveva trovato la sua missione negli anni ’70.
Gli ultras , quelli che poi sfilavano in corteo risalendo viale dei mille per festeggiare una vittoria. O “il pompa” che guidava i suoi per le strade di ogni trasferta, sfidando tutto e tutti. La fortuna di scoprirsi fratelli su strade “nemiche” o su quelle di tutti i giorni. Le riunioni, i volantini, i comunicati, gli scazzi, le scelte. La Fiesole è il tempio di questa fede laica chiamata pallone. Amici di curva, compagni di trasferte, di sbronze o di canne al vento, perchè in Fiesole sventoli una bandiera viola sotto il cielo del tuo universo parallelo per spremere dal cuore lacrime, grida e canzoni. E poi gli striscioni, messaggi ironici o duri come una sassata, o dediche a compagni di fede scomparsi, a chi non c’è più ma ci sarà per sempre. Quello che lancia i cori. Quello che non gli va bene niente. Quelli che siamo qui per stare insieme.
In Fiesole non vai per vedere la partita. Vai per vedere cosa c’è oltre: l’umanità, le battute, la disperazione, gli orgasmi collettivi. Il senso di un calcio che non ha voluto diventare schiavo delle tv. Un social umano dove le cose, belle o brutte che siano, le dici guardandoti negli occhi. La Fiesole spesso conosce le storie prima che arrivino sui giornali, in tv o per le strade della città. La Fiesole è l’orgoglio di una Firenze nella sua essenza, al netto dei turisti che la attraversano, spendono e poi se ne vanno via. Qui la città si racconta a modo suo.
“Dopo Luna le due”: così fu contestato l’uomo di fiducia di Vittorio Cecchi Gori quando si comprese che il declino era dietro l’angolo. Troppe storie, troppi nomi, troppi ricordi. Da quella prospettiva psichedelica hai visto Pepito dare il via al grande ribaltone. Hai visto l’unico dieci laggiù, fermo in terra, mentre intorno tutti si mettevano le mani nei capelli. Hai esultato, goduto, avuto paura e pianto.
Tutto questo mentre diventavi grande e hai giurato a te stesso che quei giorni, quegli amici, quei gol e quelle lacrime di gioia o di dolore le porterai sempre con te: ovunque tu vada, ovunque ti porterà la vita, ovunque ti troverai a gridare al cielo “Forza viola”.