
Firenze, 18 giugno 2021 - Qualcuno ha anche fatto i calcoli della sua permanenza sulle sponde dell’Arno: ventidue giorni in totale, vale a dire 528 ore o, a essere ancor più pignoli, 3168 minuti. L’allenatore più breve della storia viola dopo Renzo Magli, che nel dopoguerra nel campionato 1946/47 fu tecnico per soli sette giorni ma almeno due partite dalla panchine le diresse. Ringhio nemmeno una. Un’ipotesi di libro, più che un racconto breve. Per questo, a caldo, è difficile dire come nel tempo catalogheremo la vicenda che in queste ore fa soffrire e sacramentare una città intera. Qualcuno sostiene che la racconteremo nel largo capitolo delle beffe fiorentine. Le beffe narrate e filmate da Boccaccio e da Monicelli, per capirci. Come quella di Calandrino, a cui raccontarono che sul greto del Mugnone c’era una pietra magica, l’elitropia, che donava l’invisibilità e lui la bevve, facendosi irridere dagli ami ci. O quella del pensionato Righi di "Amici miei", convinto di avere a che fare con una gang di trafficanti e non con una combriccola di buontemponi geniale e sciagurata.
Le beffe, fra l’altro, la Fiorentina nella sua storia sportiva le conosce eccome: dal centravanti bulgaro che tutti corsero ad accogliere all’aeroporto di Peretola e solo allo sbarco ci si accorse che su quell’aereo non era mai salito, al centrocampista serbo che invece a Firenze arrivò, salvo far sapere che in viola non sarebbe rimasto perché la fidanzata non voleva. Gattuso nell’indice del capitolo dopo la B di Berbatov e prima della M di Milenkovic Savic? Chissà. Perché un’altra parte della città non la vede così, convinta che nel grande romanzo di Firenze questa storia finirà prima o poi nell’appendice dedicata ai tradimenti. Quella in cui Dante, a suo tempo, collocò il conte Ugolino e Bocca degli Abati, colui che a Montaperti tradì la fazione guelfa favorendo la vittoria Ghibellina, e che Claudio Baglioni canta con malinconia: avrai una sedia per posarti e ore vuote come uova di cioccolato / e un amico che ti avrà deluso tradito e ingannato.
La divina commedia e il pop all’italiana per narrare l’idea del tradimento non di una sola persona ma quello collettivo di una speranza: siccome l’arrivo di Rino Gattuso a Firenze venti giorni fa aveva scatenato il fuoco santo dell’utopia, l’idea che, con i suoi ringhi e la sua schiena dritta, Rino avrebbe saputo correggere le curve del destino avverso viola, adesso, nel momento in cui tutto salta per aria per principio, per incapacità, per prepotenza o chissà per cosa, il fuoco si è rispento, lasciandoci di nuovo prede dei tornanti della vita, con un giovane dolore dentro e viali di foglie in fiamme ad incendiarci il cuore. Un tormento nel quale è difficile persino indicare colpe o assolvere, mettere al rogo o benedire, condannare o mandare almeno prescritti. «L’uomo è nato per tradire il proprio destino", dice Paolo Cohelo, e magari ha ragione. Ma da queste parti sappiamo bene come anche il destino di chi tifa viola consegni spesso il tradimento delle aspettative. Siamo cinture nere di fregature, a Firenze. Roba comunque dolorosa "Che in fondo tra fregà e tradì ce core poco". E questo non è Cohelo ma il "Libanese" di "Romanzo Criminale", uno che con la dura realtà della vita a occhio ha più a che fare che non un poeta brasiliano. E dunque più si adatta a essere usato nelle vicende che narrano di Firenze e di Fiorentina. Roba che comunque, amaro o dolce, ha il sapore della vita.