"Molti mi chiedono il segreto del nostro successo. Io rispondo: sfatiamo un mito, la gentilezza e il rapporto qualità-prezzo adeguato sono vincenti".
Dategli torto: ai suoi tavoli si sono seduti principi e politici, calciatori e attori (e attrici, naturalmente), cantanti d’opera e direttori d’orchestra, ma anche impiegati e funzionari, operai e bottegai, massaie e contesse. E turisti, tanti.
"Ma parliamoci chiaro: io mi sono stufato di sentirmi dire che noi siamo solo un locale acchiappa-turisti". Era un cruccio grande, questa malevola “etichetta” per Torello Latini. Un marchio che proprio non gli andava giù, a lui che era l’erede di una tradizione centenaria, di quella fiaschetteria aperta dal prozio Angelo nel 1911 e portata avanti per tutto il Secolo Breve da babbo Narciso e mamma, la Maria che ai suoi piatti ha formato legioni di cuochi. Lui, Torello, compreso: che di quella tradizione si è sempre sentito un portabandiera. E soprattutto si è sempre sentito all’altezza.
Così il rimpianto è doppio, oggi che lo abbiamo perso. Se ne è andato a 73 anni, pochi per uno come lui che di Firenze e della sua cucina e delle sue storie avrebbe avuto ancora tanto da raccontare, anche se il timone del ristorante di via de’ Palchetti l’aveva ormai lasciato alla figlia Emilia e al genero Christian. Se n’è andato sconfitto dal solito brutto male, una domenica di fine novembre, dieci anni dopo aver festeggiato il secolo del Latini. Che proprio dieci anni fa aveva ricevuto dal sindaco Nardella il Fiorino d’Oro. Premio che l’aveva riempito d’orgoglio, Torello, più del “Porcellino” arrivato nello stesso anno, più della presenza ininterrotta per decenni nella ristretta rosa dei Bib Gourmand – i migliori locali per rapporto qualità prezzo – della Rossa Michelin. Perché quel Fiorino era una consacrazione: il riconoscimento che dire Latini era come dire “cultura di Firenze”. Suffragata del resto da un dettaglio di non poco conto: una quarantina d’anni fa, Narciso aveva dato vita – l’idea, racconta Zeffiro Ciuffoletti, gliel’aveva data Franco Cesati, editore, allora direttore della Libreria Seeber, altra gloria fiorentina purtroppo scomparsa – al premio “Amici del Latini, la cultura a tavola”. Una lista, i premiati, da far tremare i polsi: l’aprì Indro Montanelli, ci sono Maria Bellonci, Bo, Soldati, Spadolini, Sciascia, Tobino, Luzi, Biagia, Cardini e poi Manfredi, Giacomo Tachis, Bruno Vespa, De Bortoli, Cazzullo...
Ma Torello, ecco un’altra delle sue grandi doti, non si è mai pavoneggiato. Con il fratello Giovanni, più grande di lui, scomparso due anni fa, faceva il commis di sala finché c’è stato babbo Narciso. E presa in mano la guida, la sua cifra è rimasta la stessa: "Se dovessi cambiare qualcosa – mi disse ridendo in una intervista – cambierei me stesso. Rivendico di essere commerciante e imprenditore, ma le cose fatte bene sono quelle fatte in proprio". "I clienti, – amava dire – fiorentini o turisti vengon qui per assaggiare ribollita e pappa col pomodoro, fagioli all’olio e bistecca alla fiorentina, il peposo alla fornacina, la trippa e il lampredotto, per finire con lo zuccotto e i cantuccini col Vinsanto". Con i suoi “amici” lo mangerà nel paradiso dei ristoratori, il peposo alla fornacina, il suo piatto preferito.
La camera ardente (a bara chiusa) di Torello è aperta oggi, lunedì, a Villa Donatello. Il funerale domani alle 10 in Santa Trinita. La famiglia chiede non fiori, ma donazioni all’Ant. L’ultimo atto d’amore di un Re della Bistecca.